Ecco ch’un’altra volta, o valle inferna

ISABELLA DI MORRA

       

       Ecco ch’un’altra volta, o valle inferna,
       o fiume alpestre, o ruinati sassi,
       o ignudi spirti di virtude e cassi,
       udrete il pianto e la mia doglia eterna.
5        Ogni monte udirammi, ogni caverna,
       ovunque io arresti, ovunque io mova i passi;
       ché Fortuna, che mai salda non stassi,
       cresce ognor il mio mal, ognor l’eterna.
       Deh, mentre ch’io mi lagno e giorno e notte,
10      o fere, o sassi, o orride ruine,
       o selve incolte, o solitarie grotte,
       ulule e voi, del mal nostro indovine,
       piangete meco a voci alte interrotte
       il mio più d’altro miserando fine.


Parafrasi

1 inferna: infernale (come un oscuro abisso).
2 fiume alpestre: il Sinni, dalle acque impetuose; ruinati sassi rocce scoscese.
3 cassi: privi.
7 salda: ferma.
8 l’eterna: lo prolunga, lo rende eterno.
10 fere: fiere.
12 ulule: gufi; e voi anche voi.
14 d’altro: di qualunque altro; fine: destino.

Commento

Nel lamento ansioso, solitario, esistenziale di una fanciulla rinchiusa in un tetro castello, lontana dall’amato padre di cui invoca invano l’aiuto, la poesia petrarchista, trapiantata in una valle inospitale e deserta, si trasforma in un canto desolato, tanto assetato d’amore quanto privo di speranza. Soli interlocutori di Isabella sono i monti dirupati, il fiume impetuoso, le foreste, gli animali selvatici, invitati a unirsi al suo pianto; suoi compagni sono il dolore e l’infelicità per un’emarginazione che sembra presentire la tragica fine. Ma in questo clima tempestoso, carico di tensione, che prelude al barocco, la voce è salda e ferma, quasi impietrita; l’effetto, altamente drammatico.
ISABELLA DI MORRA

ISABELLA DI MORRA

Isabella di Morra (Favale, od. Valsinni, Matera, 1520-1548), terza degli otto figli del barone di Favale, alleato di Francesco I re di Francia, costretto ad emigrare, nel 1528, per la prevalenza spagnola nella penisola, vive nel castello avito con sette fratelli. Questi, sospettando una sua relazione sentimentale con don Diego Sandoval de Castro, nobiluomo e poeta spagnolo, sposato, che soggiorna di tanto in tanto nel suo castello nelle vicinanze, per difendere l’onore della famiglia la uccidono con il suo precettore e assassinano in un agguato lo stesso Diego. Le Rime dell’esiguo canzoniere dell’infelice poetessa (tredici composizioni, tra le quali questo sonetto) appaiono, postume, nel 1552.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli