dal Cicerone

GIAN CARLO PASSERONI

       

       Quasi ogni donna oggi vuole il suo cane,
       e lo vuol di Parigi o di Bologna
       o di Malta o d’altre isole lontane,
       e molte n’han tre o quattro, se bisogna;
5        e taluna di lor che non ha pane,
       non ha pan da mangiar, non si vergogna
       di far patir la fame a’ figliuolini
       per mantenere il cane a biscottini.
       Quelle poi che non hanno carestia
10      de’ beni di fortuna, un poverello
       potrebber mantenere, e sal mi sia,
       comodamente, ed anche due, con quello
       che spendono ne’ cani; e in fede mia,
       è cosa da far perdere il cervello
15      il veder tanti ignudi e mal pasciuti,
       e tanti cani così ben tenuti.
       Fareste meglio a spendere pe’ vostri
       figli o in qualch’altra cosa più importante
       quel che spendete, o donne, a’ giorni nostri
20      in bestie, che in fin d’anno è un bel contante:
       fareste meglio, senza ch’ io vel mostri,
       a risparmiar, se il Ciel vi faccia sante,
       quel che gettate via senza giudizio,
       ch’un giorno forse vi farà servizio.
25      Potrei dir qualche cosa anche di peggio
       delle altre spese che solete fare;
       ma in simile materia entrar non deggio,
       anzi non voglio per prudenza entrare,
       perché ’l mio parlar libero m’avveggio
30      che vi potrebbe forse disgustare,
       ed io, sebben tratto de’ cani, spero
       di non passar per cinico severo.


Parafrasi

9-10 carestia ... fortuna: ristrettezze economiche.
11 sal mi sia: Dio me ne guardi.
20 in ... contante: alla fine dell’anno è una bella sommetta.
22 se ... sante: e così Iddio ve ne rimeriti.
24 vi ... servizio: vi farà comodo.
27 in ... deggio: non devo entrare in argomenti del genere.
29 m’avveggio: mi accorgo.
30 disgustare: dare un’impressione spiacevole.
32 cinico severo: come l’antico filosofo Diogene, detto il Cinico (“cagnesco”) perché prendeva a modello la vita ‘secondo natura’ dei cani randagi.

Commento

Questo passaggio dal XX canto del Cicerone ricorda da vicino l’episodio della “vergine cuccia” nel Giorno di Giuseppe Parini, grande amico del Passeroni, che nel 1753 lo introduce nell’accademia dei Trasformati, e anche lui ironicamente critico verso le cure per gli animali ‘da compagnia’, talvolta esagerate a paragone del trattamento riservato ai servi e ai poveri. Il livello artistico delle sue argute e scorrevoli ottave è tuttavia molto lontano da quello dei versi del più giovane e più agguerrito collega.
GIAN CARLO PASSERONI

GIAN CARLO PASSERONI

Gian Carlo Passeroni (Condamine di Lantosca, Nizza, 1713 - Milano 1803), di modeste origini, giunge giovanissimo a Milano, dove tra- scorre gran parte della vita; ordinato sacerdote, è precettore del gio- vane marchese Cesare Alberico Lucini. Nel 1743, con il conte Giuseppe Imbonati, restaura l'Accademia dei Trasformati. Erudito, membro dell’accademia dell’Arcadia, è autore di Rime giocose, sa- tiriche e morali (1776) e di traduzioni e imitazioni (Favole esopiane, 7 voll., 1779-88; Epigrammi greci, 1786). L’opera maggiore è un poema di 101 canti in ottave, Cicerone (1755-74), in cui la vita del grande oratore è pretesto per ampie divagazioni sulla vita del suo tempo, vivaci e moraleggianti, apprezzate dall’amico fraterno Giu- seppe Parini e anche da Giuseppe Baretti, Jean-Jacques Rousseau, Alessandro Manzoni, e che potrebbero aver ispirato, per le continue digressioni, il Tristram Shandy di Laurence Sterne.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli