Amore, in cui disio ed ho speranza,
di voi, bella, m’ha dato guiderdone,
e guardomi infinché vegna allegranza,
pur aspettando bon tempo e stagione.
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Com’om ch’è in mare ed ha spene di gire,
e quando vede il tempo, ed ello spanna,
e già mai la speranza no lo ’nganna,
così facc’io, madonna, in voi venire.
Or potess’eo venire a voi, amorosa,
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com’ lo larone ascoso, e non paresse:
be’l mi ter[r]ia in gioia aventurusa
se l’Amor tanto bene mi facesse.
Sì bel parlante, donna, con voi fora,
e direi como v’amai lungiamente,
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più ca Piramo Tisbia dolzemente,
ed amerag[g]io infinch’eo vivo ancora.
Vostro amor’ è che mi tene in disi[r]o
e donami speranza con gran gioi,
ch’eo non curo s’io doglio od ho martiro,
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membrando l’ora ched io vegno a voi:
ca s’io troppo dimoro, par ch’io pèra,
aulente lena, e voi mi perderete;
adunque, bella, se ben mi volete,
guardate ch’io non mora in vostra spera.
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In vostra spera vivo, donna mia,
e lo mio core adessa voi dimanda,
e l'ora tardi mi pare che sia
che fino amore a vostro cor mi manda;
e guardo tempo che sia a piacimento
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e spanda le mie vele inver’ voi, rosa,
e prendo porto là ove si riposa
lo meo core a l[o] vostro insegnamento.
Mia canzonetta, porta esti compianti
a quella ch’ha ’n bailïa lo meo core,
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e le mie pene contale davanti
e dille com’eo moro per suo amore;
e mandimi per suo messag[g]io a dire
com’eo conforti l’amor che lei porto;
e s[ed] io ver’ lei feci alcuno torto,
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donimi penitenza al suo volire.
Amore, che desidero e nel quale pongo la mia speranza, mi ha dato voi, bella, come ricompensa, e sto in attesa che giunga la felicità, sempre aspettando il tempo e la stagione favorevoli. Come chi sta navigando e spera di procedere, e quando vede il tempo propizio esce dalla panna (termine marinaresco per l’allineamento delle vele con la direzione del vento, che lascia ferma la nave), e la speranza non lo abbandona mai, così faccio io, madonna, venendo verso di voi. Ah se io potessi venire da voi, amorosa donna, come fa il ladro di nascosto, senza farmi vedere! Lo considererei davvero una gioia fortunata, se Amore mi concedesse un bene così grande. Con voi, o donna, sarei molto eloquente, e vi direi quanto vi ho amata da tanto tempo, più dolcemente di quanto Piramo abbia amato Tisbe (i due innamorati che nelle Metamorfosi di Ovidio si tolgono la vita, ciascuno credendo che l’altro sia morto), e vi amerò sempre finché avrò vita. È il vostro amore a mantenermi nel desiderio e a darmi speranza e grande gioia, tanto che non m’importa se provo dolore e sofferenza, immaginando l’ora in cui verrò da voi; giacché se aspetto troppo, mi sembra di morire, o respiro profumato, e voi mi perderete; dunque, bella, se mi volete bene, badate che io non muoia nell’attesa di voi. Nell’attesa di voi io vivo, o donna mia, e il mio cuore chiede continuamente voi, e mi pare (che sia sempre) tardi il momento in cui l’amore puro mi manda dal vostro cuore: e aspetto il tempo che sia propizio e spieghi le mie vele verso di voi, o rosa, e giungo in porto là dove il mio cuore trova riposo nella perfezione del vostro comportamento. Canzonetta mia, porta questi lamenti a colei che ha in suo potere il mio cuore, e (giunta) davanti a lei raccontale le mie pene e dille che io, per il suo amore, sto morendo; e (che) mi mandi a dire, tramite un suo messaggero, come io possa rendere più forte l’amore che provo per lei; e (che) se io le avessi fatto qualche torto, mi assegni la penitenza che lei vorrà.
Come esponente della Scuola siciliana, l’autorevole braccio destro dell’imperatore si rivela sia un abile fruitore del linguaggio metaforico (la navigazione, il ladro che agisce di nascosto, le favole mitologiche), sia un rigoroso costruttore della nuova maniera di poetare in volgare, raffinata e precisa. Qui la forma della canzone, in endecasillabi, si articola in cinque strofe (o ‘stanze’) divise in due parti (la ‘fronte’ e la‘sirma’, la prima a sua volta divisa in due ‘piedi’ e la seconda in due ‘volte’), con lo schema AB AB (1° e 2° piede della fronte) e CD DC (1° e 2° volta della sirma); le rime sono, nella terminologia provenzale, a coblas capfinidas (‘stanze capo-finite’: l’inizio del primo verso di una strofa riprende una parola o un concetto dell’ultimo verso della precedente); l’ultima stanza fa da ‘congedo’. È la struttura portante di una delle principali forme metriche della letteratura italiana
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli