Il vecchio e la Morte

      Un miserabil uom carico d’anni,
       e non pochi malanni,
       portava ansante per sassoso calle
       un gran fascio di legne sulle spalle.
5        Ecco ad un tratto il debol piè gli manca,
       sdrucciola, e dentro un fosso
       precipita, e il fastel gli cade addosso.
       Con voce e lena affaticata e stanca
       appella disperato allor la Morte,
10        che ponga fine alla sua trista sorte.
       “Vieni, Morte”, dicea, “fammi il favore,
       toglimi da una vita di dolore.
       Ch’ho a fare in questo mondo? Ovunque miri,
       non vedo che miserie e che martìri.
15        Qua di casa il padrone
       domanda la pigione;
       il fornaro di là grida, che senza
       denari omai non vuol far più credenza.
       Se tu non vieni, la mia gran nemica,
20        la Fame, porrà fine alle mie pene;
       ma morrò troppo tardi, ed a fatica.”
       Ai replicati inviti ecco che viene
       la Morte a un tratto colla falce in mano,
       e gli domanda in che lo può servire.
25        Sentissi il povero uom rabbrividire;
       che credea di parlarle da lontano:
       e con pallida faccia e sbigottita,
       rispose in voce rauca e tremolante:
       “Ti chiamai sol perché mi dassi aita
30        a portar questo fascio sì pesante”.
       Quando è lontana, poco ci spaventa
       la Morte; ma qualora s’avvicina,
       oh che brutta figura che doventa!

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NOTE

1 Un ... uom: Un poveraccio.
3 sassoso calle: viottolo sassoso.
10 trista: infelice.
14 martiri: sofferenze.
16 la pigione: l’affitto.
18 credenza: credito.
21 ma ... fatica: la mia morte sarà troppo lenta e penosa.
22 replicati: ripetuti.
29 mi ... aita: tu mi aiutassi.
32 qualora: quando.
33 brutta figura: aspetto spaventevole; doventa: diventa (assume).

COMMENTO

Nell’incontro del vecchietto con la Morte - chiamata troppo frettolosamente - e poi nella sua giustificazione, tanto pronta quanto bizzarra, dell’averla invocata, si può ritrovare l’arguzia un po’ naïve di certe novelle del Boccaccio o di Franco Sacchetti. Certamente la semplicità del racconto, così scorrevole e piano, giunge quasi al confine con la superficialità. Tuttavia nelle sue favole Lorenzo Pignotti vuole esporre non tanto ai dotti, quanto alla gente normale, un campionario, non privo di naturalezza, dei difetti della società settecentesca, e non solo. La sua pagina, più morale che moralistica, nasce da una conoscenza piuttosto approfondita delle virtù, dei vizi e dei pregiudizi umani, e tende a seguire la scia della tradizione inaugurata da Esopo e da Fedro e portata a compimento nelle Fables di La Fontaine; delle quali, però, pur non essendo priva dell’arguzia propria dei verseggiatori toscani, non raggiunge la grazia e la finezza stilistica.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli


Lorenzo Pignotti (Figline Valdarno, Firenze, 1739 - Pisa 1812), lasciato il seminario e abbandonato lo stato ecclesiastico, esercita la professione medica a Firenze dal 1767. Professore di fisica a Firenze e poi a Pisa, della cui università è anche rettore dal 1809, e onorato anche da Napoleone, è autore di opere di divulgazione scientifica e storica, tra cui una Storia della Toscana sino al principato (postuma, 1813-14, in 9 volumi), di poemetti (La tomba di Shakespeare, 1779; L’ombra di Pope, 1781; La felicità dell’Austria e della Toscana, 1791), del poema eroicomico in sestine La treccia donata (1808), a imitazione del Ricciolo rapito di Alexander Pope, e di satire politiche. La sua fama è però dovuta alle Favole e novelle (1782, più volte ristampate) che ne fanno il maggiore favolista italiano del XVIII sec.