Dall’immagine tesa

      Dall’immagine tesa
       vigilo l’istante
       con imminenza di attesa –
       e non aspetto nessuno:
5        nell’ombra accesa
       spio il campanello
       che impercettibile spande
       un polline di suono –
       e non aspetto nessuno:
10        fra quattro mura
       stupefatte di spazio
       più che un deserto
       non aspetto nessuno.
       Ma deve venire,
15        verrà, se resisto
       a sbocciare non visto,
       verrà d’improvviso,
       quando meno l’avverto.
       Verrà quasi perdono
20        di quanto fa morire,
       verrà a farmi certo
       del suo e mio tesoro,
       verrà come ristoro
       delle mie e sue pene,
25        verrà, forse già viene
       il suo bisbiglio.

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NOTE

1 immagine tesa: la persona stessa del poeta, protesa verso l’avvento divino.
3 imminenza ... attesa: l’attesa di un evento imminente.
4 nessuno: di questo mondo terreno.
5 ombra accesa: ossimoro, fervida incertezza.
8 polline ... suono: rumore impercettibile, come un leggero pulviscolo fecondatore.
16 sbocciare ... visto: ricevere segretamente il fiorire della Grazia.
20 quanto ... morire: il peccato, che porta alla morte dell’anima.
22 suo ... tesoro: la Grazia divina.
23 ristoro: ricompensa.
24 mie ... pene: le sofferenze del poeta accomunate a quelle di Cristo crocifisso.
26 bisbiglio: voce sommessa. Dirà il poeta: “La voce di Dio è sottile, quasi inavvertibile, è appena un ronzio. Se ci si abitua, si riesce a sentirla dappertutto”.

COMMENTO

L’ultima poesia dei Canti anonimi, scritta nel 1920, è considerata il capolavoro di Clemente Rebora e uno dei momenti più alti della poesia religiosa del XX secolo. L’appello fiducioso a Dio, la certezza della Sua venuta, evocata con trepida e acuta tensione nel silenzio della stanza deserta, culmina nel compenso (il ristoro) della Sua parola sussurrata. Nella prima parte è detto tre volte non aspetto nessuno; nella seconda, contrapposta e simmetrica, che inizia con Ma deve venire, per sei volte è perentoriamente affermato verrà. I due versi finali compongono, uniti, un endecasillabo che scioglie l’attesa in un sospiro armonioso e felice.

Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli


Clemente Rebora (Milano 1885 - Stresa, Verbania, 1957), laureato in lettere, di rigorosa moralità laica, insegnante a Milano in scuole serali e popolari; ufficiale di fanteria, è gravemente ferito alla testa nella prima guerra mondiale. Collaboratore della Voce di Giuseppe Prezzolini, schivo e isolato rispetto ai suoi contemporanei, nel 1913 pubblica i Frammenti lirici, punto estremo dell’”espressionismo” vociano, dal linguaggio scabro, concentrato, fortemente innovativo. Seguono i Canti anonimi (1922), già orientati verso la visione profondamente cristiana che precede la sua conversione; nel 1929 si fa religioso, presso i padri rosminiani di Domodossola; nel 1936 diviene sacerdote. Dopo un lungo silenzio, pubblica poco prima della morte i Canti dell’infermità (1956), che raccolgono i versi degli anni 1947-1957. La raccolta completa Le poesie è pubblicata, postuma, nel 1961 (poi 1988 e 1994). Del 2008 è il volume Tra melma e sangue. Lettere e poesie di guerra.