Incappucciati, foschi a passo lento
tre banditi ascendevano la strada
deserta e grigia, tra la selva rada
dei sughereti, sotto il ciel d’argento.
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Non rumori di mandre o voci il vento
agitava per l’algida contrada.
Vasto silenzio. In fondo, Monte Spada
ridea bianco nel vespro sonnolento.
O vespro di Natale! Dentro il core
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ai banditi piangea la nostalgia
di te, pur senza udirne le campane:
e mesti eran, pensando al buon odore
del porchetto e del vino, e all’allegria
del ceppo, nelle loro case lontane.
6 algida: gelida.
7 Monte Spada: presso Fonni (Nuoro), nel Gennargentu (1298 m).
11 di te: del vespro di Natale, in cui nei paesi suonano le campane.
13 porchetto: il maialino arrosto, tipico della cucina sarda.
14 ceppo: grosso pezzo di legno che brucia nel focolare.
Il sonetto, dai Canti barbaricini, sembra precorrere l’atmosfera di certi film del West o della Resistenza in montagna, ambientando in un paesaggio aspro e selvoso, privo di colori e di suoni, e con un linguaggio secco come un’acquaforte, le figure solitarie e meste di tre banditi: uomini, cioè, che - essendosi ribellati a uno Stato estraneo e improvvido - si sono posti da sé al bando dalla vita normale, condannati a fuggire lontano dalle loro case e dai loro affetti; certamente fuorilegge, ma immersi in un alone romanticamente avventuroso perché tagliati fuori dal mondo in cui tutti gli altri possono godere dell’atmosfera natalizia, nel calore del focolare, del buon cibo e del buon vino. Con fraterna pietà il poeta condivide la mestizia di questi infelici, facendoceli sentire, almeno in parte, vittime del destino. La nostalgia del Natale, centro ideale della composizione, che “piange” nel loro cuore suggerisce un oscuro desiderio di pentimento e di riscatto.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli