Vieni, entra e coglimi, saggiami provami ...
comprimimi discioglimi tormentami ...
infiammami programmami rinnovami.
Accelera ... rallenta ... disorientami.
5
Cuocimi bollimi addentami ... covami.
Poi fondimi e confondimi ... spaventami ...
nuocimi, perdimi e trovami, giovami.
Scovami ... ardimi bruciami arroventami.
Stringimi e allentami, calami e aumentami.
10
Domami, sgominami poi sgomentami ...
dissociami divorami ... comprovami.
Legami annegami e infine annientami.
Addormentami e ancora entra ... riprovami.
Incoronami. Eternami. Inargentami.
“Due cose belle ha il mondo: / Amore e Morte”, dice il Leopardi: un poeta non molto amato da Patrizia Valduga, la quale però potrebbe porre questo motto in esergo alla propria opera poetica. La sua materia è un amore passionale e intensissimo, benché raramente lieto, anzi percorso, nel suo lato più oscuro, da echi di rintocchi cimiteriali. Si pensa a un fiume di lava riversato nelle forme geometriche e ossessivamente rimate della metrica classica - terzine, quartine, sestine, ottave, sonetti (come questo, da Medicamenta, in parole e versi sdruccioli e sdrucciolevoli) - e qui cristallizzato come un diamante; o forse un’immagine più appropriata sarebbe quella di piccoli organismi viventi, insetti o foglie, solidificati in un’ambra traslucida, fluorescente ed elettrostatica. L’audace pulsione erotica, trasmessa con uno slancio insieme appassionato e lucido, vi si presenta con l’innocente sfrontatezza della verità e con un severo retrogusto autoironico: quasi la voce di una sibilla profetica animata da una pietas antica e tuttora dolente.
Scelta, parafrasi, commento e note bio-bibliografiche a cura di Gigi Cavalli