Mario Sironi
«Di tutti i nostri pittori italiani d’oggi, Mario Sironi (1885-1961) è anche il più romano, intendo significare con questo la definizione di una tendenza alla grandiosità», come ha scritto Margherita Sarfatti nel 1920. Grandiosità che ha distinto l’artista sia per la scelta dei materiali, sia per gli stili utilizzati nell’esprimersi. E’ passato dalla matrice divisionista, nata dal rapporto d’amicizia con Giacomo Balla (1871-1958), all’espressionismo, dopo il soggiorno in Francia e Germania, al Futurismo, quando divenne critico d’arte e illustratore de «Il Popolo d'Italia». Teorico di un'ideale unità delle arti in funzione etica e civile nel 1933 con Carlo Carrà (1881-1966) e Massimo Campigli (pseudonimo di Max Ihlenfeldt 1895-1971) redasse il Manifesto della pittura murale. Sperimentò il mosaico, il bassorilievo, dedicandosi prevalentemente a grandi cicli decorativi, nel 1935 l’Aula Magna dell'università «La Sapienza» in Roma; nel 1936 il Palazzo di Giustizia e tra il 1939 e il ’42 il Palazzo dei Giornali in Milano.
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