accuṡativo agg. e s. m. [dal lat. accusativus (casus), malamente ricalcato sul greco αἰτιατικ ή (πτ ῶ σις) «(caso) causativo»]. – Caso a. (o semplicem. accusativo s. m.): uno dei casi della declinazione latina, e anche greca e di altre lingue, che nella tradizione grammaticale classica occupa il quarto posto, e perciò detto anche quarto caso; deve il suo nome latino, e quindi italiano, a un fraintendimento dei grammatici ellenistici del 1° sec. a. C., che collegarono αἰτιατικ ὴ πτ ῶ σις al verbo αἰτιάομαι «accusare» (mentre invece αἰτιατικ ή deve ritenersi derivato da αἰτιατόν «causatum», termine tecnico della metafisica aristotelica: in origine, quindi, nell’accusativo fu visto il caso denotante ciò su cui incide l’azione verbale intesa come causa). Nelle lingue indoeuropee l’accusativo è caratterizzato dalla massima uniformità desinenziale, dall’elevata frequenza (è il caso più ricorrente in sanscrito, greco e latino), dalla massima stabilità diacronica (dei casi obliqui è quello che in genere meglio resiste alla tendenza riduttiva del numero dei casi). Per analogia, si parla talora di accusativo anche per lingue prive di veri e propri casi, come l’italiano, con riferimento a nomi o pronomi adoperati in funzione di compl. oggetto (per es., le forme mi, ti, ci, vi dei pronomi personali, quando hanno tale funzione).
Grammatica. – La sintassi scolastica moderna distingue diversi valori dell’accusativo latino e greco: quello retto da un verbo transitivo (amo patrem) e quello libero, il quale ha varî significati (durata: triginta annos regnavit; estensione: decem pedes latus; termine di movimento: eo Romam). La sintassi distingue inoltre, in opposizione all’accusativo ordinario, altri tipi e cioè: a) a. di relazione (detto anche alla greca, perché appariva ai Latini come particolare della sintassi greca), corrispondente ai costrutti italiani «quanto a, relativamente a, per quanto riguarda» e sim.; così il lat.