Acèrbo

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acerbo


acèrbo agg. [dal lat. acerbus, affine ad acer «acre»]. – 1. a. Di sapore aspro, acre, pungente: mangiare delle nespole a.; un succo a.; vino a., vino giovane e ricco di acidità totale. b. Non maturo: queste pere sono ancora a.; fig.: E per trovare a conversione acerba Troppo la gente (Dante); Qual nell’a. fato amor vi trasse? (Leopardi), nella morte prematura (cfr. funere mersit acerbo di Virgilio, Aen. VI, 429, parole assunte dal Carducci come titolo di un suo noto sonetto). Riferito all’età, giovanile: A la matura etade od a l’acerba (Petrarca); un corpo a., non del tutto sviluppato; un ragazzo a., ancora immaturo; una bellezza a.; e con accezione affine: al giorno ancora acerbo Allor ch’al tufo torna la civetta (Poliziano), all’alba. 2. Duro, crudele, severo: Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero! E quanto mi parea ne l’atto acerbo (Dante); odio a., parole a., a. rimproveri; l’a. destino; doloroso: Un affetto mi preme A. e sconsolato (Leopardi). ◆ Dim. acerbétto, alquanto acerbo, nei varî sign. dell’agg.: uva acerbetta; È bella quanto può così acerbetta Esser bella fanciulla (Saba). ◆ Avv. acerbaménte, con asprezza, con crudele o dolorosa severità: rimproverare, punire acerbamente; un uomo acerbamente colpito dal destino.

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