Anamorfòṡi

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anamorfosi


anamorfòṡi (alla greca anamòrfoṡi) s. f. [dal gr. ἀναμόρϕωσις «riformazione», der. di ἀναμορϕόω «formare di nuovo»]. – 1. a. In biologia, in senso ampio, tendenza della natura a generare forme più complesse, con un crescente differenziarsi e specializzarsi degli organismi. b. In zoologia, con accezione più partic., sviluppo diretto senza metamorfosi di alcuni artropodi, in cui si verifica un graduale aumento del numero dei segmenti del corpo. 2. In geometria, corrispondenza ottenuta proiettando da un centro di proiezione i punti di una figura, appartenente a un dato piano, su una porzione di superficie piana o curva, sulla quale si ottiene una figura corrispondente punto per punto a quella proiettata, ma deformata rispetto a questa. Corrispondenze di questo genere si stabiliscono talora nei fenomeni di riflessione e di rifrazione; vi ricorrono talvolta i pittori per creare, dipingendo su superfici curve, delle illusioni ottiche. Più specificamente, è così chiamato un tipo di rappresentazione pittorica realizzata secondo una deformazione prospettica che ne consente la giusta visione da un unico punto di vista (risultando invece deformata e incomprensibile se osservata da altre posizioni); fu molto in voga nei secc. 16° e 17°. In ottica, si ha anamorfosi delle immagini quando, per mezzo di particolari specchi, prismi, lenti e altri sistemi ottici, l’ingrandimento in senso orizzontale delle immagini stesse è diverso da quello in senso verticale. 3. In nomografia, trasformazione di una funzione f in altra funzione F il cui grafico o nomogramma sia più semplice, o più idoneo a un determinato scopo, soprattutto quando il passaggio da f ad F sia realizzato con cambiamenti di variabili che rappresentino l’adozione di scale non metriche.

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