Cacciare

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cacciare


v. tr. [lat. *captiare, der. di capĕre «prendere», part. pass. captus] (io càccio, ecc.). – 1. Dare la caccia, cercare o inseguire animali (per lo più selvaggina) per catturarli o ucciderli: c. la lepre, il cinghiale; di uccelli, più com. l’uso intr.: c. alle starne, ai tordi. Anche assol., andare a caccia: c. in bandita, in riserva; ho cacciato tutto il pomeriggio. 2. a. Inseguire, incalzare, far fuggire: Questi la caccerà per ogne villa (Dante); il vento cacciava le nubi dal cielo; o semplicem. spingere innanzi: c. i buoi avanti a sé. b. Più spesso, mandar via o fuori, scacciare: lo cacciarono a calci; fu cacciato di casa; caccia via quell’animale!; fig., c. la fame, il dolore, la paura, il malocchio, ecc.; c. i cattivi pensieri; è meglio che queste idee tu le cacci dalla mente. c. Non com., buttare (di piante), mettere i germogli. 3. Cavare o tirar fuori, estrarre con forza (per lo più cacciar fuori): Ruggiero, al fin constretto, il ferro caccia (Ariosto); se vuoi la roba, prima caccia fuori i soldi; c. un urlo, emetterlo. Con uso più ampio nell’ital. region.: cacciar fuori la lingua, cacciar fuori scuse, pretesti, ecc. 4. Spingere violentemente: con un pugno tremendo lo cacciò in terra; mandare dentro con forza o in malo modo, far entrare, ficcare: c. uno in una stanza, in prigione; c. una vite, un chiodo; cacciarsi le dita nel naso; gli cacciò il pugnale nel ventre. Nel rifl., ficcarsi, entrar dentro o in mezzo: cacciarsi tra la folla; cacciarsi in un ginepraio, nei guai, nei pasticci; dove s’è cacciata quella benedetta ricevuta? ◆ Col sign. di «dar la caccia» e di «far entrare, ficcare», meno spesso con i sign. di «scacciare» ed «estrarre», il verbo, nella forma caccia-, entra come primo elemento in molti composti, come cacciatorpediniere, cacciavite, cacciaproietti, ecc.