carciòfo s. m. [dall’arabo kharshūf]. – 1. a. Pianta perenne della famiglia composite tubuliflore (lat. scient. Cynara cardunculus, sottospecie scolymus), con foglie basali molto grandi, capolini terminali con squame carnose, i cui ricettacoli, prima della maturazione, costituiscono il noto ortaggio dal caratteristico sapore dolce-amaro. b. Nell’uso com., l’ortaggio stesso, la cui parte commestibile è costituita dalla base dell’infiorescenza e dalle brattee carnose che l’avvolgono (comunem. dette foglie del c.): c. fritti; c. ripieni; c. alla giudia; c. in pinzimonio. Le foglie contengono anche un principio attivo, la cinarina, che ha impiego in farmacologia perché esplica azione diuretica e favorisce la secrezione biliare da parte delle cellule del fegato. 2. C. selvatico (lat. scient. Cynara cardunculus ssp. cardunculus), detto anche carduccio, cardoncello, caglio, presame: erba perenne delle composite tubuliflore, con capolini più piccoli del carciofo coltivato, a brattee terminate da una robusta spina; spontaneo nel bacino del Mediterraneo, in