crédere v. intr. e tr. [lat. crēdĕre]. – 1. intr. (aus. avere) e tr. Ritenere vera una cosa, avere la persuasione che una cosa sia tale quale appare in sé stessa o quale ci è detta da altri, o quale il nostro sentimento vuole che sia. In partic.: a. C. a qualcuno, prestare fede alle sue parole, alle sue attestazioni o promesse: Se non mi credi, pon mente a la spiga, Ch’ogn’erba si conosce per lo seme (Dante); c. ai giornali, ai ciarlatani; c. sulla parola, senza bisogno di prove o giuramenti; fig., non c. ai proprî occhi, quando si vede cosa molto strana e che desti forte meraviglia. È usato talvolta transitivamente in costruzioni di tipo passivo, spec. con l’agente indeterminato, riconducibili a equivalenti costruzioni impersonali: è inutile che io parli, tanto non sono creduto (= tanto non mi si crede); prov., quand’uno per bugiardo è conosciuto, anche se dice il ver non è creduto. b. C. a qualche cosa, accettare per vero: crede a tutto ciò che gli si dice; non bisogna c. alle chiacchiere; può darsi che sia così, ma io non ci credo. Con uso trans.: crede tutto ciò che gli dicono; spec. quando si tratti di cosa non vera: far c., dare a c. una cosa a qualcuno, dare ad intendere, far ritenere vero; col pron. la indeterminato: e lui l’ha creduta? Con vario tono, in brevi frasi esclamative e interrogative: credo io!, lo credo bene!, per significare energica approvazione; lo credereste?, per disporre l’animo altrui ad ascoltare; chi lo crederebbe?, chi l’avrebbe creduto?, narrando o sentendo cosa eccezionale; non voglio crederci, non posso crederlo, per esprimere forte meraviglia o disappunto; credi, credete (e credimi, credetemi, o credi, credete a me), modi d’intercalare per dar più forza di verità a quanto si dice: Con voi sono stato lieto Dalla partenza, e molto Vi sono grato, credetemi, Per l’ottima compagnia (