èssere1 v. intr. [lat. esse (volg. *essĕre), pres. sum, da una radice *es-, *s- che ricorre anche nel sanscr. ásti «egli è», gr. ἐστί, osco est, ant. slavo jestŭ, ecc.; il perf. fui da una radice *bhū- che ricorre nel sanscr. ábhūt «egli è stato», gr. ἔϕυ «è nato», ecc.] (pres. sóno, sèi, è, siamo [ant. o region. sémo], siète [ant. sète], sóno [ant. o region. ènno]; imperf. èro [ant. o letter. èra], èri, èra, eravamo, eravate, èrano; pass. rem. fui, fósti [ant. fusti], fu [radd. sint.], fummo, fóste [ant. fuste], fùrono [ant. furo, fòro e fuòro]; fut. sarò, sarài, sarà [ant. fia e fie], sarémo, saréte, saranno [ant. fìano e fìeno]; condiz. sarèi [ant. sarìa e fòra], sarésti, sarèbbe [ant. sarìa e fòra], ecc.; cong. pres. sia ... siamo, siate, sìano [o sìeno]; cong. imperf. fóssi [ant. fussi], ecc.; imperat. sii, siate; part. pres., raro, essènte; part. pass. stato [ant. essuto e suto]; ger. essèndo [ant. sèndo]. I tempi composti si coniugano con l’aus. essere: sono stato, ecc.). – È la parola che ricorre più frequente nel discorso e la più necessaria all’espressione del pensiero. Differisce da tutti gli altri verbi perché nel suo uso assoluto non «determina» il soggetto ma soltanto lo «pone» come esistente; usato come copula o come ausiliare, compie solo la funzione di introdurre il predicato nominale o verbale; non è perciò mai, a rigore, un vero «predicato». 1. Usato assol., come verbo predicativo, afferma l’esistenza, l’essenza in sé, l’atto puro, senza ulteriore determinazione. Si dice perciò soprattutto e per eccellenza di Dio o di ciò che (nelle varie concezioni filosofiche) è concepito come assoluto: Dio è, frase con cui lo si afferma. Riferito all’uomo: penso, dunque sono (è il «cogito, ergo sum» di Cartesio). Delle cose: Dio disse: «la luce sia», e la luce fu (note parole della Bibbia, Genesi 1, 3); Dinanzi a me non fuor cose create (Dante). Riferito a persone, animali, cose, si unisce spesso con la particella ci (meno com. vi): ci sono varie specie di rose; discutere se vi sia il paradiso e l’inferno; spec. per indicare la sussistenza, la reperibilità, la disponibilità: che c’è di nuovo?; ci sono molti laureati in legge; c’è abbondanza di viveri; c’è scarsità di energia elettrica; un mezzo ci sarebbe; non pare che ci sia altra soluzione; non c’è nulla fra loro (cioè non intercorre alcun rapporto). Nell’uso, specialmente tosc., e soprattutto nelle frasi interrogative e negative, esserci è non di rado usato al sing., anche con soggetto plur.: c’è lettere per me?; non c’è più biscotti, bisogna ricomprarli; ce n’è pochi come lui; e poi c’è degli imbrogli (Manzoni). Anticam. la particella ci (che si lega al verbo anche in altri dei significati che seguono) era spesso tralasciata anche in frasi dove oggi l’uso normalmente la richiede: Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? (Dante). 2. Con accezioni più definite: a. Per indicare, più che l’esistenza, la presenza effettiva: Iddio è dappertutto; non c’era nessuno per la via; (ci) sono qua io per aiutarti; chi è? (sentendo bussare o suonare all’uscio); siete già qui?; sono io in carne ed ossa; anche di cose: lì vicino c’è una fontana; c’è un ponte che attraversa il fiume; spesso, in simili circostanze, l’annunzio d’una cosa la fa essere (Manzoni). b. In qualche caso, equivale a «essere vero» o serve in genere ad attestare la realtà di un fatto o del suo modo di essere: è così; è proprio così; affermare ciò che non è; è come dico io; non può essere! (mostrando di non voler credere a quanto altri dice). Contrapposto a parere, sembrare, afferma la realtà effettiva di contro all’apparenza: preferiva e. che parere una persona onesta. c. Supplisce talora verbi d’azione: sono stato io (sottint. a dire, a fare una cosa; cioè: «l’ho detto io, l’ho fatto io»); oggi c’è (= si fa) seduta; domani non ci sarà lezione, ecc. d. Usato impersonalmente, per indicare una situazione di fatto: oggi è bel tempo, è freddo, è caldo, è già buio, ecc. e. Altre volte, con uso impersonale, ha funzione esclusivam. rafforzativa: è a te che mi rivolgo; è per questo che insisto. Seguito immediatamente dalla cong. che: è che io non ne sapevo nulla; non è che io non voglia ma ...; tosc., con gli soggetto: gli è che oggi non mi sento in vena. Costrutti ugualmente enfatici sono: com’è che non risponde? (cioè: «come mai non risponde?»); quand’è che ci rivediamo? 3. Spesso è vicino per significato ad altri verbi con cui è possibile sostituirlo: a. Sussistere: Fama di loro