Fìglio

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figlio


fìglio s. m. [lat. fīlius, della famiglia di fecundus, femĭna, ecc.]. – 1. a. Il generato rispetto ai genitori (talora anche rispetto ai progenitori): mio, tuo, suo f. (normalmente senza articolo); padre, madre e figli; f. maggiore, minore; f. unico di madre vedova, che, in quanto tale aveva l’esenzione dal servizio militare (oggi non più obbligatorio); fig., scherz., di cosa da trattare con cura perché è l’ultima che resta; Molte fïate già pianser li figli Per la colpa del padre (Dante); i f. dei f., i lontani discendenti; i figli d’Adamo, i f. d’Eva, gli uomini, l’umanità: il Signor ... a tutti i f. d’Eva, Nel suo dolor pensò (Manzoni); con altro uso e tono, siamo tutti figli d’Adamo, siamo tutti uomini, e come tali tutti uguali, o tutti soggetti a sbagliare. Seguito dalla prep. di e dal nome di uno o di entrambi i genitori, serve spesso a determinare la persona non direttamente ma nella sua relazione di parentela con persona che ci è più nota o familiare: si sposa il f. del nostro capomastro; nei poemi classici è perifrasi frequente per designare eroi o divinità: il f. di Laerte, Ulisse; il f. di Latona e di Giove, Apollo. Non indica di necessità il sesso maschile e può spesso riferirsi, spec. nel plur., promiscuamente a maschi e femmine; così per es. nelle frasi: i f. sono una gran consolazione; hanno sette f. da sfamare, ecc.; e anche, in genere, nelle espressioni f. naturale, legittimo, illegittimo, riconosciuto, legittimato, adottivo, f. postumo, ecc. Precisando: un f. e una figlia; augurî e f. maschi!, salute e f. maschi!, formule d’augurio di tono per lo più scherzoso. Dicendo f. primogenito, secondogenito, il primo, il secondo f., s’intende per lo più, ma non di necessità, il maschio. b. Con l’iniziale maiuscola, indica per antonomasia Gesù Cristo: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo; più esplicitamente, il F. di Dio. Discussa è invece l’interpretazione dell’espressione il F. dell’uomo, di origine semitica, che per sé stessa equivale a «essere umano, uomo», ma ricorre più volte con significato messianico in testi biblici e apocrifi, mentre nel Nuovo Testamento è riferita da Gesù a sé stesso, per sottolineare, secondo l’esegesi tradizionale e più comune, la natura umana da lui assunta. c. Locuzioni: f. di famiglia, minorenne, e quindi soggetto alla patria potestà, o maggiorenne, che sta con la famiglia paterna non essendosene fatta una propria; f. di papà, scherz. o più spesso iron., giovane che conduce vita agiata o che si fa strada giovandosi della posizione economica e sociale o dell’autorità, del prestigio, della protezione del padre; f. di mamma, giovane di carattere debole e privo di autonomia, soggetto, più che la sua età non comporti, alle cure e all’autorità materne; f. dell’amore, figlio naturale, nato cioè da una coppia non sposata; f. di nessuno, trovatello o, fig., figlio trascurato dai genitori; allevare, tenere come un f., con le cure e l’affetto che si dedicherebbero a un figlio proprio. Come ingiuria: f. d’un cane!; più volg.: f. di puttana! (e, con varianti region. e volg.: f. di troia, f. di mignotta e sim.; per eufemismo, f. di buona donna), epiteto ingiurioso ma usato anche in tono scherz., o con l’intenzione di riconoscere alla persona cui è rivolto un’abilità spregiudicata (con questo valore, spec. nella frase gran f. di puttana). d. Raro, e soltanto al plur., con riferimento ad animali, per i quali si parla in genere di prole nel linguaggio scient., e di piccoli o nati nell’uso comune. 2. Usi fig.: a. Vocativo affettuoso rivolto da persona anziana, da un religioso, da un superiore, ecc., a un giovane o anche a persona adulta (spec. al plur. e seguito da un agg., altrimenti è più com. figliolo, che in ogni caso è forma più fam.): Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi L’anime di color cui vinse l’ira» (Dante, facendo parlare Virgilio); f. dilettissimi, nelle allocuzioni dei prelati ai fedeli. b. Il cittadino rispetto alla patria o al paese in cui è nato: Dove sono i tuoi f.? (Leopardi, all’Italia); Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra (Foscolo, a Zacinto). c. Per indicare più genericamente origine, provenienza, con riferimento all’ambiente e alle condizioni sociali: è un f. del popolo; o al carattere, all’ingegno, alle tendenze rappresentative di un’epoca: fu vero f. del suo tempo, del suo secolo; in partic., f. d’arte, attore discendente, talora per più generazioni, da attori, che ha avuto per scuola il palcoscenico e che ha cominciato a recitare ancora giovanissimo. d. Locuzioni: figli di Dio, nella Scrittura, gli uomini; figli del peccato, del secolo, del mondo, nel linguaggio ascetico, gli uomini in quanto peccatori; figli del dolore, dell’esilio, gli infelici, gli esuli; figli della fortuna, i fortunati; figli della Terra, i giganti della mitologia greca; figlio del Cielo, l’imperatore della Cina; prov., ognuno è f. delle proprie azioni, la vera nobiltà non viene dalla nascita ma dalle virtù morali (ma anche con altri sign.: ognuno deve farsi strada da sé; ciascuno è tenuto a rispondere dei proprî atti). 3. Al plur., denominazione, variamente specificata, di appartenenti a diversi istituti maschili di vita consacrata: Figli della Carità, Figli della Sacra Famiglia, ecc. 4. Figli della lupa, nome che ebbe dal 1934 (in ricordo della lupa della leggenda di Roma) l’organizzazione fascista dei più giovani (dai 6 agli 8 anni) in seno all’Opera Nazionale Balilla. 5. In fisica, denominazione generica di un membro intermedio di una famiglia radioattiva; più precisamente, nuclide proveniente dal decadimento di un altro nuclide radioattivo, il quale è detto padre. ◆ Dim. figliétto; pegg. figliàccio.

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