Invaghire

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invaghire


v. tr. e intr. [der. di vago1] (io invaghisco, tu invaghisci, ecc.). – 1. tr. Far diventar vago, cioè desideroso, accendere il desiderio del godimento o del possesso o della realizzazione di cosa che piace, far nascere un sentimento d’improvviso amore: descrivendogli le bellezze della fanciulla, lo invaghì di lei; invaghito del progetto, non fece attenzione ch’era tutto fondato su carta, penna e calamaio (Manzoni). Per lo più riferito, come soggetto, alla persona stessa o alla cosa che suscita tali sentimenti e ne diventa l’oggetto: la ragazza (o la bellezza, la grazia di quella ragazza) lo aveva invaghito; Amor, che del suo altero lume Più m’invaghisce dove più m’incende (Petrarca). Con senso più generico, attrarre, rendere desideroso: l’amenità del paesaggio invaghisce a rimanervi. 2. Nell’intr. pron., invaghirsi, innamorarsi, accendersi d’improvviso amore o di desiderio, incapricciarsi: appena la vide, s’invaghì di lei; s’era invaghito della sua bellezza; invaghirsi di un gioiello, di una villetta sul mare. Anticam. anche senza la particella pron.: ne ’nvaghì sì forte, che egli ne menava smanie (Boccaccio). ◆ Part. pass. invaghito, anche come agg., desideroso: Calcabrina ... dietro li tenne, invaghito Che quei campasse per aver la zuffa (Dante); innamorato: oltra misura era di lei invaghito e bellissima la vedeva (Bandello); estens., non com., che esprime vivo compiacimento o ammirazione: rivolgere sguardi invaghiti, parole invaghite.

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