Màschio

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maschio


màschio (pop. tosc. màstio) agg. e s. m. [lat. mascŭlus, dim. di mas «maschio»]. – 1. a. agg. e s. m. Dal punto di vista biologico, negli organismi a sessi separati, l’individuo che elabora i gameti maschili destinati a fecondare i gameti femminili in vista della riproduzione. In partic., con riferimento alla specie umana: due fratelli maschi; salute e figli maschi!, augurio che si fa a chi starnuta; letter. ant., la m. progenie, i discendenti maschili; e come sost.: ha due figli, un m. e una femmina; aspettare un m., festeggiare la nascita del m.; le è nato un bel m. (riferito a uomo già adulto, un bel m. è espressione di ammirazione, talora scherz., per il suo aspetto robusto e virile). Con riferimento ad animali: l’ultimo nato della capra è un m.; il m. della lepre, della tigre; in funzione di agg., serve a specificare il sesso di animali che hanno uno stesso nome per entrambi i generi (sempre al masch. anche se riferito a nomi femm., e al sing. anche se riferito a nomi plur.): una pantera maschio; aquila maschio e femmina; due lepri maschio. b. agg. Virile, che ha la vigoria fisica o morale che si considerano proprie del maschio: aspetto m.; voce m.; m. figura; colui dal m. naso (Dante); donne con certe facce maschie (Manzoni); carattere m.; m. decisioni; m. stile; m. eloquenza. 2. agg. Riferito a pianta, indica nel linguaggio com. (sempre con uso al masch.) una specie o varietà più robusta o più pregiata in confronto a un’altra affine: felce maschio, in confronto a felce femmina (due specie diverse di felci); canapa maschio, la pianta pistillifera (femminile) che è più robusta e più alta degli esemplari staminiferi, cioè maschili; sughero m. (o sugherone), il primo sughero, non utilizzabile, che si ricava dall’albero; finocchio m. (v. finocchio nel sign. 1 b). 3. s. m. a. Nella tecnica (per metafora tratta dall’organo della generazione), il termine indica genericamente l’estremità di un pezzo foggiata in modo da entrare in un alloggio corrispondente (cioè nel pezzo che si chiama femmina): unire due elementi a m. e femmina, detto anche di pietre che vengono unite inserendo la sporgenza dell’una in una cavità dell’altra, senza calcina. In partic., nelle tecnologie meccaniche, l’utensile per la filettatura a mano o a macchina (tramite maschiatrice) dei fori, costituito da un corpo filettato di forma cilindrica o lievemente conica, nel quale sono ricavate scanalature longitudinali (per lo scarico dei trucioli) che separano i taglienti: m. sbozzatore, m. intermedio, m. finitore, i maschi usati, nella filettatura a mano, rispettivam. per iniziare, approfondire e calibrare il filetto, che differiscono tra loro per il profilo dei taglienti e per la forma dell’imbocco. b. Analogam., in anatomia, m. astragalico, la porzione della troclea astragalica nell’articolazione tibio-tarsica. 4. s. m. a. Nelle costruzioni civili, la parte continua di un muro di sostegno a contrafforti che è a contatto con il terrapieno da sostenere. b. Nei castelli medievali e nelle rocche del Rinascimento, la torre principale (detta anche dongione), per lo più quadrata o rotonda, più alta e robusta delle opere fortificatorie circostanti, contenente gli ambienti più importanti della fortezza, come l’abitazione del castellano, il tesoro, talora le prigioni: il Maschio Angioino; il Mastio di Volterra. ◆ Dim. maschiétto s. m., con accezioni partic. (v. la voce, e v. anche il femm. maschietta); accr. maschiòtto, maschióne (femm., non com., maschiòtta, maschióna, di ragazza disinvolta nei movimenti o robusta, ben piantata); pegg. maschiàccio (v.).

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