Mestière

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mestiere


mestière (ant. o pop. tosc. mestièro; ant. mestièri, soprattutto nel sign. 5, e anche mistière, mistièro, mistièri) s. m. [lat. mĭnĭstĕrium «funzione di minister (v. ministro), aiuto; servizio», incrociatosi con mysterium «mistero»; cfr. il fr. ant. mestier (con gli stessi sign. che ha avuto e ha la parola ital.), mod. mêtier]. – 1. a. Ogni attività, di carattere prevalentemente manuale e appresa, in genere, con la pratica e il tirocinio, che si esercita quotidianamente a scopo di guadagno; corrisponde a quelle che anticam. si dicevano arti manuali o meccaniche, ed esclude sia le professioni libere, le attività di carattere impiegatizio e i lavori di concetto, sia le attività commerciali e la maggior parte di quelle agricole; si contrappone spesso ad arte, anche quando s’intenda con questo termine solo un’attività artigiana (così, per es., nelle espressioni scuola di arti e mestieri, dizionario d’arti e mestieri, e sim.), oppure a professione, per quanto nell’uso ufficiale si tenda a raccogliere sotto questo termine, più comprensivo, anche i mestieri stessi (così le scuole d’arti e mestieri sono dette oggi scuole professionali, e si parla di classificazione professionale per indicare insieme la classificazione delle professioni vere e proprie e dei mestieri). Il m. del sarto, del calzolaio, del falegname, dell’idraulico, del tappezziere; m. girovaghi, v. girovago; il m. delle armi, quello di chi, spec. all’epoca delle milizie mercenarie, faceva il soldato a scopo di lucro; fare, esercitare un m.; imparare, apprendere, insegnare un m.; dare un m. ai figli, provvedere alla loro formazione professionale; non com., mandare i figli al m., avviarli all’apprendimento di un’attività lavorativa, spec. manuale; conoscere, saper fare, fare bene il proprio m.; esser capace, valente, abile nel proprio m.; un m. facile, difficile, faticoso, pesante, umile, povero, redditizio, pericoloso; quello del fabbro è un m. che va scomparendo; si adatta a fare i più vili, i più umili m.; fa tutti i m. pur di guadagnare qualcosa; ha fatto tutti i m. (spesso in senso estens. ed eufem., con riferimento anche ad attività poco lecite); non avere un m., essere senza un m., essere senza lavoro, soprattutto per non averne voluto imparare nessuno. Prov., ognuno patisce del suo m., allusione al fatto che un operaio o un artigiano difetta proprio di quelle cose che egli col suo lavoro provvede a fornire agli altri (per es., un sarto vestito male, un calzolaio con le scarpe rotte, un barbiere con la barba e i capelli lunghi, ecc.). b. Con senso spreg. e connotazione improntata a pessimismo e biasimo, attività, professione intellettuale o artistica esercitata senza professionalità e impegno, spesso a solo scopo di lucro: in certi casi la professione del medico si è ridotta a un m.; non c’è più gusto a fare il giornalista: è diventato un m.!; analogam., in contrapp. ad arte: fare della pittura, della poesia, della musica un m., avvilire tali attività facendone delle occupazioni puramente pratiche, esercitate solo per denaro; con altro senso, fare di qualcosa un m., farla d’abitudine, o anche per trarne dei vantaggi: è gente che della calunnia ha fatto un mestiere. 2. a. Per estens., nel linguaggio com., ogni attività lavorativa, anche non manuale o tecnica, che si esercita normalmente: il m. di scrittore, di musicista, di avvocato, di medico; cambia m.!, frase rivolta a chi mostra inettitudine nel proprio lavoro; a ognuno il suo m., invitando qualcuno a non intromettersi in cose che non fanno parte della sua normale attività; con sign. analogo, pensa a fare il tuo m.!, òccupati di ciò di cui ti devi occupare; non è m. tuo!, non è affar tuo, non è cosa che ti riguardi; non è m. da tutti, è cosa piuttosto difficile a farsi; è il mio m., è parte essenziale o integrante della mia normale attività, o anche, in frasi scherz., è cosa che faccio benissimo: scrivere è il mio m.; se so preparare un buon caffè? ma è proprio il mio m.!; talvolta in senso spreg.: imbrogliare la gente è il suo m., è cosa che egli fa di consueto; fare qualcosa per mestiere (o di mestiere), esercitare una determinata attività o professione come lavoro abituale, traendo da essa i mezzi di sostentamento: che cosa fai di mestiere?; di m. faccio il fotografo; fa il violinista per diletto, non per m.; anche in senso fig.: lo fai per m., di parlar male degli altri?; è un attaccabrighe, un seccatore di m.; Un grullo finto, un sordo di m. (Giusti), cioè che finge di esser sordo; essere del m., esercitare abitualmente una data attività, anche di tipo professionale o artistico, e avere in essa particolare abilità e competenza: sono del m. e me ne intendo; te lo dico io, che sono del m.; è una persona del m., te ne puoi fidare (con altro senso: sono anch’io del m., siamo tutti e due del m., detto da persone che fanno lo stesso lavoro, esercitano la stessa professione, la stessa arte); esser vecchio del m., essere particolarmente esperto in un determinato lavoro, spec. per averne una lunga pratica (in senso fig., essere smaliziato, conoscere bene come va il mondo). I ferri del m., gli strumenti necessarî al proprio lavoro, all’esercizio della propria attività: i libri sono per me i ferri del m.; gli incerti del m., gli imprevisti, le difficoltà, i contrattempi e sim. che si possono verificare nello svolgimento di una qualsiasi attività; gelosie, rivalità di m., quelle che possono talvolta sorgere tra persone che svolgono lo stesso lavoro. In espressioni fig., per lo più iron.: mangiare e dormire, ecco il più comodo m. del mondo!; gran bel m. andare a spasso dalla mattina alla sera!; fare il m. di Michelaccio, vivere nell’ozio, fare una vita scioperata; vuol fare il m. di molestar le femmine: il più pazzo, il più ladro, il più arrabbiato mestiere di questo mondo (Manzoni); il m. di vivere, espressione entrata nell’uso in relazione al titolo del diario dello scrittore C. Pavese (1908-1950), pubblicato postumo nel 1952. Prov., chi fa l’altrui m. (o chi esce fuor del suo m.) fa la zuppa nel paniere, chi vuol fare ciò di cui non s’intende, perde il tempo e la fatica; meno com., chi fa più d’un m., l’acqua attinge col paniere, chi si vuole occupare di più cose insieme, non ne fa bene nessuna o non combina nulla. b. Con riferimento ad attività disoneste, illecite, o riprovevoli dal punto di vista morale: fare il m. del ladro, del boia, della spia, dell’adulatore; fare un brutto m., un m. ignobile; in partic., in senso eufemistico, la prostituzione: fare il m., quel m., il m. più antico del mondo. 3. La parte più strettamente pratica di qualsiasi attività, non solo manuale, ma anche professionale, artistica, intellettuale; il complesso di nozioni teoriche e tecniche che, indipendentemente dall’ingegno, dal gusto personale o dall’estro creativo, sono indispensabili per poter compiere un determinato lavoro, facilitandone comunque l’esecuzione: fa il giovane di studio presso un avvocato per imparare il m.; è molto portato per la letteratura ma gli manca ancora il m.; è ormai padrone del m.; conosce tutte le astuzie, tutti i segreti, tutti i trucchi del mestiere. In partic., nell’arte, l’insieme di procedimenti, di tecniche e di norme la cui padronanza rende possibile all’artista di esprimersi adeguatamente: è un pittore esperto in tutte le finezze del m.; la commedia non è molto originale, ma l’autore mostra di avere del m.; la sua recitazione si basa solo sul mestiere. Talvolta, con sign. limitativo, mera perizia esecutiva: opera di m.; quadro, romanzo di mestiere. 4. ant. Ministero, ufficio: quando tu [canzone] sarai In parte dove sia la donna nostra, Non le tenere il tuo mestier coverto (Dante), non le nascondere l’ufficio che sei chiamata a compiere, lo scopo della tua missione. Con senso più partic.: quando io avea veduto compiere tutti li dolorosi mestieri che a le corpora de li morti s’usano di fare (Dante). 5. ant. o letter. a. Bisogno, necessità (soprattutto nella variante mestieri), spec. nelle locuz. essere mestieri o di mestieri, fare mestieri o di mestieri, sempre usate impersonalmente (come le espressioni di sign. equivalente bisogna, occorre, è necessario), nelle quali la cosa di cui c’è bisogno è espressa da un sostantivo, da un pronome o più spesso da una prop. soggettiva introdotta da che, mentre la persona cui la cosa occorre è eventualmente rappresentata da un compl. di termine: Che ... io fossi preso E poscia morto, dir non è mestieri (Dante); Idio, il quale solo ottimamente conosce ciò che fa mestiere a ciascuno (Boccaccio); quelli [animali] solamente retinendo meco, che mistiero mi faranno (Sannazzaro); gli stessi a lui fuscelli e fogli Per novo lavorio son di mestieri (Leopardi). Anche nella locuz. aver mestieri, con costruzione personale: non ho mestieri del vostro aiuto; è una verità così evidente che non ha mestieri di prova; abbiamo di mestieri che tutto sia fatto nel minor tempo possibile; il povero giovane ... ha per addietro avuto mistiero del sovvenimento de’ suoi amici (Bembo). b. Con sign. più ampio (sempre nell’uso ant.), occorrenza, bisogna, in locuz. quali in tal mestiero, a tal mestiere, e sim.: ancor che mi sia tolto Lo muover per le membra che son gravi, Ho io il braccio a tal mestiere sciolto (Dante), libero cioè per poter percuotere. Con accezione partic., m. del corpo, o assol. mestiere, i bisogni corporali (anche in senso concr.): calati giuso i panni di gamba, lasciò andare il mestiere del corpo (Sacchetti). 6. Mestiere cattivo, in Liguria, la rete da pesca chiamata altrove tartana. ◆ Spreg. mestierùccio; pegg. mestieràccio.