Mòdo

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modo


mòdo s. m. [lat. mŏdus «misura», e quindi anche «norma, regola, modo»]. – 1. La forma particolare di essere, di presentarsi di una cosa, o di operare, procedere e sim. In questo sign. generico (e in qualche altro), è sinon. di maniera, con cui spesso si scambia anche nelle locuz. particolari. Seguito da verbi: m. di camminare, di vestire, di pensare, di parlare, di scrivere, di pronunciare una parola; meno spesso da sost. deverbali: m. di governo; modi di acquisto della proprietà; modi di estinzione delle obbligazioni. Determinato da un agg. o da una prop. relativa: ha un garbato modo di esporre; ha un m. di ragionare tutto suo; ha un m. di guardare che non mi piace; frequente soprattutto con la prep. in: parlava in m. buffo; si comporta in m. strano; l’argomento è trattato in m. originale; gli accennò in m. vago alla questione; più raro con la prep. a: ha agito al m. solito; ant. con la prep. di: mordendo correvan di quel modo Che ’l porco quando del porcil si schiude (Dante). In partic.: m. di essere, con accezioni varie, allusive soprattutto al diverso modo di pensare, di sentire, di affrontare la realtà e le situazioni, e sim.; m. di fare, comportamento, contegno in determinate circostanze: ha uno strano m. di fare; m. di vedere, il particolare atteggiarsi del giudizio in rapporto al punto di vista da cui si guardano le cose: ognuno ha il suo m. di vedere; a mio m. di vedere, secondo ciò che pare a me. In alcuni tipi di frase, include un tono di biasimo, indicando atteggiamento o comportamento per qualche motivo riprovevole: che m. di rispondere è il tuo?; che m. di fare è codesto?; è questo il m. di discutere?; non è questo il m. di entrare (anche assol.: non è questo il m.!, sottintendendo di trattare, di fare, e sim.; che m. sono questi?; ma guarda che modi!; iron., mi piace il modo!). In un certo m., in modo non buono, oppure strano, bizzarro, che non si sa qualificare: ti esprimi in un certo m.!; s’aggirava, guardava in un certo m.; anche senza certo: me lo disse in un modo ...! 2. In grammatica: a. Avverbio di modo (o di maniera), avverbio che determina un verbo, un aggettivo o un altro avverbio; la maggior parte di questi avverbî, in partic. quelli terminanti in -mente, equivalgono a una locuz. formata dall’espressione in modo seguita da un agg. (così certamente equivale a «in modo certo», severamente a «in modo severo», ecc.); in molti casi tuttavia le due espressioni non sono perfettamente equivalenti (così in m. evidente, in m. generico, in singolar m., ecc. hanno accezione diversa da evidentemente, genericamente, singolarmente, ecc.). b. Complemento di modo o maniera, complemento che indica la maniera in cui si compie un’azione o come un fatto è avvenuto; consiste in genere di un sost. dipendente dal verbo mediante le prep. con, di, da, in, e si può spesso risolvere in un avverbio (per es., agì con molta prudenza; lavorava in silenzio, risolvibili in molto prudentemente, silenziosamente), talora in un gerundio (per es., venne di corsa, equivalente all’incirca a venne correndo). 3. Con lo stesso sign. generico, ma con accezioni più determinate: a. Foggia, guisa, costume, usanza e sim. (cfr. maniera): al m. antico; al m. dei Francesi; vestire al m. dei montanari. A modo di, ant. o letter. per m. di, in forma di, a somiglianza di, per uso di: un cerchio di fiori a m. di corona; una cordicella a m. di cintura, ecc.; la donna ... per m. di diporto se n’andò alla piccola casetta di Federigo (Boccaccio), facendo mostra di andare a diporto; con questo sign., è più com. nella forma tronca mo’ (v.). b. Contegno, comportamento: questo misero modo Tegnon l’anime triste di coloro Che visser sanza ’nfamia e sanza lodo (Dante). Soprattutto, e più comunem., contegno adottato verso i proprî simili, maniera di trattare: nobiltà, gentilezza, ruvidezza di modi; m. garbati, cortesi, schietti, arditi, burberi, bruschi, villani, leziosi, cerimoniosi; glielo fece intendere con bei m. o con bel m.; lo accolse, lo trattò, lo scacciò in malo m., con brutte maniere, sgarbatamente, villanamente, e sim.; s’è comportato in malo modo. C’è modo e modo, frase frequente per significare che si possono usare maniere diverse, buone o cattive, gentili o ruvide, per lo più volendo riprovare la maniera adoperata in un particolar caso da una persona. c. Volontà, gradimento, o anche capriccio, nelle locuz. a mio, tuo, suo m., ecc. (per ellissi da m. di vedere, di pensare, di ragionare, e sim.), come pare a me, a te, a lui, ecc.: lasciami fare a m. mio; vuol fare tutto a m. suo; non puoi pretendere che tutti facciano a m. tuo; fate pure a m. vostro; date retta a me, fate a m. mio, come io vi dico, come io vi consiglio e vi troverete bene. 4. Molto spesso al sign. generico di forma, maniera, si accoppia quello di procedimento, metodo con cui si fa qualche cosa o si cerca di raggiungere un fine, acquistando così la parola un senso molto affine a mezzo, via, espediente, e sim.: scegliere un m. idoneo, conveniente, il m. migliore o peggiore; agire nei m. consentiti dalla legge; intendersi circa il m. della consegna; è un m. come un altro per farsi rispettare; in che m. pensi di arrivarci?; non vedo m. di uscirne; in qualche m. si provvederà; in un m. o nell’altro, dovrà pur finire un giorno; ci sarà pure un m. per farlo stare a dovere; vedi tu il m. di farla finita; ho cercato tutti i m. per convincerlo; trovar m. (o il m.) di fare una cosa; cercano d’arrangiarsi in mille m.; ci sono cento m. diversi per ottenerlo. In altri casi, si avvicina piuttosto al senso di occasione, opportunità, possibilità: a chi vuole, non mancan modi (prov.); se modo veduto avesse, volentieri ... fuggita si sarebbe dal padre (Boccaccio); non ho ancora avuto m. di parlargli; dammi m. di farlo e lo farò; soprattutto nelle locuz. esserci m. di, avere m. di: non c’è m. di convincerlo, di farsi intendere da lui; non ci fu m. di ottenere altro; quando avrai m. di scrivergli, salutalo da parte mia. 5. Modo di dire, locuzione linguistica particolare, parola o frase tipica di una persona o di un idioma, espressione metaforica di largo uso, e sim.: è un suo caratteristico m. di dire; lingua assai ricca di coloriti m. di dire. Con lo stesso senso, anche modo assol.: m. toscani, lombardi; sono m. ormai disusati; m. improprio, errato; m. efficaci; m. familiare, popolare, volgare, triviale, basso; m. avverbiale, lo stesso che locuzione avverbiale (v. locuzione); m. proverbiale, locuz. o frase che si ripete come un proverbio. Con altro senso: è un m. di dire, per scusare una frase che, presa alla lettera, poteva riuscire offensiva; analogam., per m. di dire «così per dire, tanto per dire», con cui si vuol togliere valore assoluto alle proprie parole e attenuarne l’effetto, affermando che non vanno intese seriamente o che non sono state dette di proposito: ho detto così per m. di dire; conducendo il ragionamento alle sue estreme e assurde conseguenze: allora, per m. di dire, io dovrei ammazzarmi per fare un piacere a lui? 6. a. Locuz. particolari (che si riconnettono al sign. fondamentale e ai sign. estens. della parola): a ogni m., per forza, necessariamente, a qualunque costo: dobbiamo riuscire a ogni m.; bisognerà a ogni m. farlo cedere; con altro senso, in principio di frase (anche nella forma in ogni m.), comunque sia, tuttavia, nondimeno e sim.: a ogni m., hai torto; decidi come credi: a ogni m., fammelo sapere; non spero di poter riuscire, a ogni m. proverò. A un m., d’un m., nello stesso modo, ugualmente, similmente: Intra due cibi, distanti e moventi D’un modo (Dante); eran tutti vestiti d’un m.; sono tutti imbroglioni a un modo. In certo m., in certo qual m., sotto un certo aspetto, guardando le cose da un determinato punto di vista, a un dipresso, e sim. (sempre con valore restrittivo): in certo m. hai ragione anche tu; in certo m., è vero; in certo qual m., le sue parole volevano dir questo. In nessun m., con nessun mezzo, o a nessun patto, per nessuna ragione (come forma di negazione assoluta): non ce la può fare in nessun m.; non voglio in nessun m. sentirne parlare. In tutti i m., con ogni mezzo, per ogni verso: tentava in tutti i m. di scolparsi; anche con i sign. di «a ogni modo»: dev’essere così, in tutti i m.; in tutti i m., fammelo sapere. b. In che m., in qual m., ant. per che m., espressioni equivalenti a «come»: non so proprio in che m. sia successo; I0 non so chi tu se’ né per che modo Venuto se’ qua giù (Dante). In questo m., a quel m., espressioni equivalenti a «così»: le cose stanno in questo m.; lei è fatta a quel m., e non c’è nulla da fare; ma talora a quel m. ha tono e sign. proprî: trattarlo a quel m.!; con un naso a quel m. è veramente buffo; rimasto solo a quel m., che cosa poteva fare? c. In m. che, in m. da, di m. che (o dimodoché), locuz., con sign. analogo a sicché, cosicché, che introducono proposizioni consecutive: procura di fare in m. che nessuno se ne accorga; farò in m. da contentarti; proprio in quei giorni io ero assente, di m. che non ne seppi nulla. In tal m. che, letter. per tal m. che, a tal punto che (sempre in prop. consecutive): ne rimase in tal m. addolorato che si ammalò; con lo stesso sign. anche in m. da, in m. che, per m. che: era lacero in m. da far pietà; La fama andò di questo in m. fuore, Che ne fu in tutta l’isola che dire (Ariosto); gli affari sono imbrogliati per m. che non ci si capisce nulla. 7. Misura (nel senso di regola, limite, conforme al sign. fondamentale del lat. modus): sono cose che passano il m., o con maggiore efficacia il m. e la misura; a tempo e m., con opportunità e misura; ant., porre modo, mettere un limite, moderare: assai gli fu favorevole la fortuna, se egli avesse saputo por m. alle felicità sue (Boccaccio). Locuzioni: oltre m., o, con grafia unita, oltremodo (v.), letter. sopra m., sommamente, moltissimo: la qual cosa, non che fosse discara a Giove, anzi piacevagli sopra m. (Leopardi); fuor di m., straordinariamente, detto di solito di cose non buone o non belle: è fuor di m. spropositato; si rese fuor di m. ridicolo; ant., senza m., senza misura, smisuratamente, e quindi molto, assai: uomo materiale e grosso senza m. (Boccaccio). Con sign. più partic., a modo, per bene, con valore aggettivale o avverbiale: una ragazza a m.; fare le cose a m. (v. ammodo); con questo solo sign., è usato anche il dim. modino (a modino o ammodino). 8. In diritto, onere che può essere imposto, nei negozî a titolo gratuito, al destinatario della liberalità e con il quale è fatto obbligo al medesimo di dare o fare qualcosa, cui non sarebbe tenuto per effetto della sola natura dell’atto, a favore del disponente o di terzi. 9. Nel linguaggio filos., il termine (dal lat. modus, in questo sign. corrispondente al gr. τρόπος), designa in generale la qualificazione, non essenziale, che una data realtà può assumere nel suo divenire, o comunque nella sua natura; in partic., in Spinoza, modi (o modificazioni), tutte le particolari forme in cui si presenta l’unica infinita sostanza e in entrambi i suoi due (ma non esclusivi) attributi dell’estensione e del pensiero. Modi del sillogismo, nella logica aristotelica, e poi nella tradizione latina e medievale, i varî tipi sillogistici che, in seno a una data «figura», si potevano ottenere a seconda che ciascuna delle premesse fosse affermativa o negativa, universale o particolare. 10. In linguistica, categoria fondamentale della flessione verbale nelle lingue indoeuropee, che originariamente definiva l’atteggiamento del soggetto parlante di fronte all’azione enunciata: m. finiti, l’indicativo, il congiuntivo, il condizionale e l’imperativo (e, in greco, l’ottativo); m. infiniti (o, più propriam., forme nominali del verbo), l’infinito, il gerundio, il participio e, in latino, il gerundivo e il supino. 11. In musica: a. Successione ordinata di suoni secondo un ordine prestabilito. Nella tradizione occidentale cólta, la successione di toni e semitoni procedenti per grado congiunto e disposti secondo uno speciale ordine: i due m. della musica moderna (m. maggiore e m. minore). b. Nell’antica musica greca, m. greci, serie di otto suoni consecutivi discendenti, differenti fra loro per il diverso ordinamento dei toni e dei semitoni. c. Nel canto liturgico monodico occidentale (canto gregoriano), m. gregoriani, serie di scale diatoniche che differiscono tra loro per il suono fondamentale da cui partono e per la diversa posizione dei toni e dei semitoni. d. Nelle composizioni polifoniche del 13° secolo, m. ritmici, serie di sei schemi ritmici ternarî derivati da altrettanti piedi della metrica greca. e. Nella notazione mensurale (dal 14° al 17° secolo), il termine indica i rapporti di valore fra le figure usate (maxima, quella di maggior valore, longa, quella di valore intermedio, e brevis, quella di valore minore); in partic.: m. maggiore perfetto, quando il valore della maxima corrispondeva a tre longae; m. maggiore imperfetto, quando il valore della maxima corrispondeva a due longae; m. minore perfetto, quando il valore della longa corrispondeva a tre breves; m. minore imperfetto, quando il valore della longa corrispondeva a due breves. 12. Nel linguaggio letter. (per estens. dal sign. musicale), tono, intonazione del canto, o anche stile poetico, forma d’espressione e sim.: il canarino cantava ... variando i suoi m. con una voce liquida e forte (D’Annunzio); i m. della poesia greca, della poesia eolica; Una parola in tutte era e un modo (Dante), le anime cantavano tutte pronunciando le stesse parole e con la medesima intonazione. 13. In fisica, soprattutto con riferimento a sistemi oscillanti, uno dei possibili stati dinamici del sistema, o anche la corrispondente soluzione particolare delle equazioni che descrivono la dinamica del sistema stesso: m. normali di una corda vibrante, le possibili oscillazioni libere della corda (corrispondenti alle armoniche di frequenza multipla della fondamentale, detta anche primo m. normale); m. di oscillazione di una cavità risonante, ecc. Con sign. analogo, in elettromagnetismo, m. di un’onda, uno dei possibili modi di propagazione di un’onda in una guida d’onda, definito dalla struttura spazio-temporale del campo che si propaga. 14. In petrografia, l’incidenza percentuale volumetrica con cui, in una roccia, ricorrono i varî minerali costituenti. ◆ Dim. modino, nel sign. 3 b, con tono vezz. o anche iron. (ha certi modini delicati!; con quei suoi modini ci ha imbrogliato tutti), e nella locuz. a modino per ammodino dim. di ammodo (v. sopra, in fine al n. 7).