Propoṡizióne

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proposizione


propoṡizióne s. f. [dal lat. propositio -onis, propr. «il mettere innanzi», der. di proponĕre: v. proporre]. – 1. In genere, ciò che si enuncia, si dichiara, si afferma, e la frase stessa che contiene l’enunciato. In partic.: a. In grammatica, espressione di senso compiuto, per lo più costituita di almeno due elementi, soggetto e predicato (quando il soggetto non è implicito nel predicato): p. semplice, complessa, composta; p. elittica; p. affermativa, negativa, interrogativa; p. principale, secondaria, oggettiva, finale, ecc. (v. oltre). b. Più genericam., qualsiasi affermazione, spec. di carattere dottrinario, filosofico, teologico, che abbia una certa gravità: una p. filosofica, che dice che quando due cose si truovano convenire in una ... (Dante); difendere, combattere una p.; p. condannata come eretica; anche affermazione in genere: con quelle sue p. sciocche, io l’ho per un dirittone e per un impiccione (Manzoni). 2. In logica matematica, enunciazione o espressione di un giudizio in forma dichiarativa non ambigua; ogni proposizione risulta pertanto vera oppure falsa: per es., «2 + 2 = 3» è una proposizione (falsa), mentre «4+3» e «x 5» non sono proposizioni. Una proposizione si dice semplice (o atomica) se con essa si esprime una singola proprietà relativamente a uno o più soggetti, composta se è ottenuta da più proposizioni semplici per mezzo di connettivi. Calcolo delle p. (detto anche calcolo degli enunciati), il calcolo algebrico logico in cui, senza indagare sulla struttura delle singole proposizioni semplici, si esamina come queste vengono collegate fra loro; le formule del calcolo delle proposizioni sono quindi costruite con variabili proposizionali e connettivi (qualora le proposizioni siano espresse mediante predicati e, oltre ai connettivi, si usino anche i quantificatori, si ottiene il calcolo dei predicati). 3. Nell’orazione classica, la parte nella quale si dichiara l’argomento da trattare. Analogam., la parte iniziale d’un poema nella quale si enuncia la materia del canto, e che, insieme con l’invocazione e l’eventuale dedica, costituisce la protasi o proemio. 4. In senso più vicino all’etimologico: a. L’atto di proporre: p. della legge; p. di una domanda giudiziale e sim., nel linguaggio giuridico. b. Proposta, ciò che si propone: la qual p. a tutti piacque (Boccaccio, con riferimento alla proposta del tema da trattare nelle novelle della giornata seguente). Come sinon. di proposta, anche nell’uso pop. (ma ormai poco com.): fare, avanzare una p.; una p. strana, inaccettabile; p. d’acquisto; p. di pace; p. d’amore. c. Offerta, solo nell’espressione biblica pani della p., i pani che venivano offerti dagli Ebrei al dio Jahveh, posti nel tempio e rinnovati ogni sabato.

Grammatica. – Le proposizioni si distinguono comunemente in esplicite, quando hanno un predicato di modo finito, e implicite, quando il predicato è di modo non finito. Con riguardo all’autonomia sintattica, si distinguono p. indipendenti (o principali, quando ne seguano altre nello stesso periodo), e dipendenti o secondarie. Le proposizioni possono poi essere, a seconda di come sono legate tra loro nel periodo, coordinate, se affiancate l’una all’altra senza congiunzioni o unite da congiunzioni coordinanti (e, , o, ma, ecc.), o subordinate, se unite alla reggente da pronomi, aggettivi o avverbî relativi, o da congiunzioni subordinanti. Le proposizioni subordinate vengono classificate secondo varî criterî, in parte grammaticali (per es., le infinitive, le relative, ecc.), in parte logico-semantici per cui vengono definite: consecutive (tanto ... che, tanto ... da), concessive (benché, sebbene ...), finali (per, perché ...), temporali (quando, non appena, dopo che ...), causali (poiché, perché ...), condizionali (se, qualora ...), comparative (tanto ... quanto, più ... di, meno ... di), dichiarative, interrogative, dubitative, ecc. Alcuni grammatici parlano anche di proposizioni avversative, modali, aggiuntive, esclusive, eccettuative, limitative, di adeguatezza.  Il centro della proposizione è normalmente il verbo, che solo in casi eccezionali è isolato ed esaurisce in sé l’espressione (per es., in frasi impersonali, come piove, nevica, o imperative, come vieni!, guardate!, andiamo!, in cui tuttavia il soggetto è implicito nella forma verbale), e più spesso è accompagnato dal soggetto e da ulteriori determinazioni complementari.