Sbaglio

Sinonimi e Contrari (2003)

sbaglio /'zbaʎo/ s. m. [der. di sbagliare]. - 1. a. [lo sbagliare nel valutare o nel giudicare: commettere uno s.] ≈ errore, (lett.) fallo. ↓ imprecisione, inesattezza. b. [lo sbagliare nel parlare o nello scrivere: infilare uno s. dietro l'altro] ≈ errore, (iron.) perla, (non com.) scerpellone, (non com.) scorso, (fam.) sfarfallone, (fam.) sfondone, (fam.) svarione, (non com.) trascorso, [spec. nel parlare] (fam.) papera. 2. (estens.) [il confondere una persona o una cosa con un'altra: ci scusi, è stato uno s., non cercavamo lei] ≈ equivoco, errore, malinteso, qui pro quo, svista. 3. (estens.) [lo sbagliare in senso morale, più o meno gravemente: è una brava persona, anche se ha commesso qualche s.] ≈ colpa, fallo, mancanza, (ant.) pecca, peccato.

Finestra di approfondimento
Fabio Rossi

sbaglio. Finestra di approfondimento

Giusto e sbagliato - S. e i termini ad esso connessi (sbagliare,sbagliato) richiamano i concetti di «giusto» o «ingiusto» nelle sfere logica e morale, applicandosi quindi sia al giudizio su vero/falso e esatto/inesatto, sia a quello su buono/cattivo (v. anche la scheda giusto). Quello che colpisce, nell’analisi dei sost. che indicano una cosa esatta o inesatta, è la ricchezza della serie del polo negativo, a fronte della scarsità lessicale del polo positivo. Se, infatti, per designare una cosa inesatta si dispone almeno di errore, equivoco, fallo, granchio, inesattezza, s., svista ecc. (per non parlare dei gradi più o meno intens.), per una cosa esatta si può ricorrere soltanto a perifrasi o a gradi diversi: cosa giusta,osservazione corretta, acutezza, colpo di genio e sim.

Cose non giuste - Errore e s. sono i termini più generali per indicare un’informazione, un dato, e sim., non esatti o non veri. Tra questi, errore è avvertito come più formale e compare in alcune espressioni più o meno tecniche (nelle quali s. sarebbe impossibile: errore può sempre sostituire s. ma non viceversa): errore di calcolo, di stampa, di valutazione; cadere in errore. L’errore di stampa (ovvero l’omissione, l’aggiunta, l’inversione e sim. di uno o più caratteri di stampa) è detto, più tecnicamente, refuso: molti refusi furono corretti in terze bozze. Fallo è termine più formale, oppure tecnico (per es. nel calcio) o cristallizzato in espressioni (cogliere in fallo; mettere il piede in fallo), oppure è sinon. di colpa (vale a dire «grave errore morale»): un fallo è stato commesso, e conviene espiarlo (G. D’Annunzio). Anche errore e s. possono avere, in taluni contesti, accezione morale. Un errore morale più lieve può essere detto mancanza, uno più grave peccato: non andare a trovare la nonna in ospedale è stata una mancanza. Equivoco e fraintendimento sono in genere riservati a errori non seri, commessi in buona fede, nati dal non aver compreso correttamente un’informazione, un appuntamento e sim.: dirò che sei malato, che è stato un equivoco, che hai creduto una cosa e invece era un’altra (E. De Marchi). Malinteso accentua il senso dell’involontarietà dell’errore, oppure designa un banale litigio nato dal non aver interpretato correttamente un discorso o un comportamento: questa mattina suo cognato, in casa mia, mi ha spiegato il malinteso sorto a cagione d’una mia frase... (L. Pirandello). Equivoco, malinteso o qui pro quo possono essere usati anche per errori di persona, quando cioè si scambia una persona per un’altra: dalla voce mi sembrava mia madre, mi scusi per il qui pro quo. Anche granchio e svista designano di solito errori non gravi, commessi per lo più per distrazione (svista), oppure per errata valutazione o giudizio (granchio): Falene dell’amore. Una mia svista pose un tagliolino alla prima elle del titolo; e lessi Fatene dell’amore! (G. Faldella); fu un inganno, fu un granchio preso (I. Nievo); hai proprio preso un granchio nel nominarlo tuo assistente. Analoghi a granchio sono abbaglio e cantonata, quasi sempre nelle espressioni prendere un abbaglio o una cantonata. Per abbaglio si intende soprattutto un errore di valutazione commesso per ingenua mancanza di senso critico, l’essersi lasciati sedurre da un’idea senza preoccuparsi di analizzarne prima l’esattezza o la verosimiglianza: lasciatemi continuare nell’abbaglio de’ miei pregiudizi, giacché non avete l’abilità di disingannarmi (C. Goldoni). Cantonata è un errore commesso per lo più per cocciutaggine e ingenuità: scrive impulsivamente e prende molte cantonate.

Sbagli più gravi - Ciò che appare del tutto, e talora fastidiosamente, sbagliato può anche essere detto bestialità o eresia: se tu sapessi quante bestialità sono contenute in queste poche da te ammirate righe (G. Baretti); non diciamo eresie! Si tratta dunque di errori ritenuti particolarm. gravi, poiché vanno contro ogni buon senso. Bestemmia, ancora più intens., è un errore di valutazione quasi scandaloso: definirlo onesto è una bestemmia. Lo svarione o strafalcione è invece un errore grossolano nel parlare o nello scrivere: impasticciava protocolli e copiava sentenze raccomodando anche mano a mano molti strafalcioni che sgorgavano dalla fecondissima penna del mio principale (I. Nievo). Analoghi sono sfondone e il più formale sproposito, i quali – a differenza di svarione e strafalcione, per lo più riferiti a errori di pronuncia, di ortografia o di grammatica – si riferiscono solitamente a grossi errori concettuali: all’interrogazione ho detto certi sfondoni! Di solito meno grave è la sciocchezza, riferita più a cose false che inesatte: l’articolo conteneva un sacco di sciocchezze sul mio conto. Più tecnico e meno fam. è sgrammaticatura (o il più formale solecismo), soprattutto per errori scritti: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri (A. Manzoni). Decisamente formale (e tecnicistico) è malapropismo, sost. con cui si designano gli scambi involontari tra parole simili nel suono o nella grafia ma distanti nel sign.: dire preside al posto di presbite è un malapropismo. Se lo scambio è fatto consapevolmente, come figura retorica, è detto paronomàsia o bisticcio.

Sbagli meno gravi o involontari - Un particolare tipo di s. è il lapsus, che ha un’accezione psicanalitica ben definita («tipo di atto mancato che soddisfa in modo manifesto un desiderio inconscio »), ma che viene in genere utilizzato nel senso com. di «scambio involontario di parole nel parlare o nello scrivere»: l’ha definito traditore anziché traduttore: è stato forse un lapsus? Senza alcun riferimento psicanalitico sono la papera e la stecca, con connotazione negativa, anche se spesso scherzosa. Il primo termine, limitato ai professionisti della parola, designa un errore di pronuncia, per lo più quando si salta o si ripete parte di una parola: un attore che prende molte papere. Stecca è limitato al lessico musicale, e designa fam. una nota (cantata o suonata) sbagliata, stonata, sgradevole e sim.: il tenore prese una stecca sul si bemolle. Se più di un vero e proprio sbaglio si tratta di un’omissione, il termine appropriato è lacuna: ha consegnato una ricerca incompleta, con numerose lacune bibliografiche. L’imprecisione più che uno sbaglio è un’informazione in forma non completa o non del tutto accurata: il tuo racconto non è del tutto fedele e contiene alcune imprecisioni. Leggermente più grave è l’inesattezza. Se invece si dice involontariamente ciò che sarebbe più prudente (o socialmente più accettabile) tacere, si fa una gaffe o una figuraccia: sto cercando di rimediare [...] a una tua gaffe (L. Pirandello); ho scambiato la figlia per la madre: che figuraccia!