Sènso

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senso


sènso s. m. [lat. sēnsus -us, der. di sentire «percepire», part. pass. sensus]. – 1. a. La facoltà di ricevere impressioni da stimoli esterni o interni (affine quindi a sensibilità): gli animali sono dotati di senso; ahi troppo tardi, E nella sera dell’umane cose, Acquista oggi chi nasce il moto e il s. (Leopardi); in questo sign., è raro il plur.: i miserandi avanzi che Natura Con veci eterne a sensi altri destina (Foscolo), ad altre forme di sensibilità. b. Più comunem., ciascuna delle distinte funzioni per cui l’organismo vivente raccoglie gli stimoli provenienti dal mondo esterno e dai suoi stessi organi e, previa opportuna trasformazione, li trasmette al sistema nervoso centrale, informandone o no la coscienza. Nel linguaggio com., i cinque s., la vista, l’udito, il gusto, il tatto, l’odorato, che corrispondono, meno il tatto e con l’aggiunta della funzione vestibolare, ai s. specifici della fisiologia, così denominati per il particolare grado di differenziazione del substrato anatomico e delle funzioni, che ne giustifica la contrapposizione ai s. somatici, i quali comprendono le varie forme della sensibilità generale e i cui recettori sono sparsi per l’intero organismo. Organi di senso (dove senso ha il sign. più ampio definito prima) sono gli strumenti periferici della funzione sensitiva (organi di s. generale) o sensoriale (organi di s. specifico, cioè occhio, orecchio, vestibolo, mucosa olfattiva e mucosa gustativa); usualmente, per organi di senso, o assol. sensi, s’intendono per lo più questi ultimi: percepire, conoscere, apprendere attraverso i s., per mezzo dei s.; le cose che cadono sotto i s., le cose concrete, visibili e tangibili; un errore dei s., l’illusione dei s. (che più propriam. sono errori o illusioni della mente nel giudicare ciò che i sensi percepiscono e trasmettono). Trasposizione dei s., presunto fenomeno parapsicologico molto raro consistente in un apparente spostamento di facoltà percettive (per es., «vedere» con la nuca) in soggetti isterici gravi, sonnambuli, ecc. In passato, è stato denominato sesto s. un ipotetico senso nascosto, globalmente capace di percepire per vie extranormali, e spec. funzionante in sensitivi e chiaroveggenti; l’espressione è rimasta nell’uso com. con valore generico e approssimativo, per indicare capacità di previsione o d’intuizione particolarmente sviluppate. c. Sempre al plur., l’esercizio della facoltà di sentire, l’attività degli organi di senso: avere, perdere l’uso dei s.; quindi, la coscienza di sé stesso e dei proprî atti, in locuzioni come perdere, riacquistare i s., meno com. tornare in sensi, e sim., che indicano la perdita o il riacquisto della coscienza in seguito a svenimento. d. Come simbolo della vita fisica: A questa tanto picciola vigilia D’i nostri s. ch’è del rimanente (Dante), a questo breve spazio di vita che ancora ci rimane; spec. in contrapp. alla vita spirituale: la maggior parte de li uomini vivono secondo senso e non secondo ragione, a guisa di pargoli (Dante). In partic., i s., gli appetiti fisici, soprattutto la lussuria e la gola: Regnano i s., e la ragion è morta (Petrarca); con più diretto riferimento alla sensualità: i piaceri dei s. o del s.; i peccati del s.; mortificare, castigare i s., e sim. 2. estens. a. Coscienza, consapevolezza in genere: Ma io, forse già polvere Che senso altro non serba Fuor che di te ... (Parini); o la percezione e coscienza di fatti interni: s. intimo (o interno), espressione della filosofia e della psicologia, usata per designare l’avvertimento di sé e dei proprî stati interiori, in contrapp. al s. esterno, come percezione delle realtà sensibili collocate al di fuori della propria persona fisica; per il s. fondamentale (sinon. di sentimento fondamentale), v. sentimento, n. 2 e. b. L’avvertimento di sensazioni interne, di natura fisica o, talora, psichica, spec. se non ben definite: avvertire un s. di fame; provare un s. di benessere, di malessere, di stanchezza, di pesantezza alla testa, di languore allo stomaco, d’amaro in bocca, ecc. 3. a. In altri casi, indica più espressamente uno stato d’animo, una sensazione, un atteggiamento psichico: sentiva dentro di sé come un s. di vuoto; la sua partenza ha lasciato in tutti noi un s. di rimpianto; provare un s. di tristezza, d’amarezza, di sconforto, ecc. Molto com. nell’uso fam. l’espressione fare senso, di cosa che produce una impressione forte e non gradevole (simile a disgusto o ripugnanza) o un turbamento psichico in genere: vedergli perdere tutto quel sangue mi faceva senso; spettacoli di miseria che fanno senso. b. Spesso, sinon. di sentimento (ma con qualcosa di più indefinito): quando mi fia ... ogni altro senso, Ogni tenero affetto, ignoto e strano (Leopardi); specificando il tipo e il contenuto del sentimento: alle sue parole, provai un s. di vergogna; tacque per un s. di dignità, per un s. di pudore. Anche di sentimenti rivolti ad altri: lo guardava con un s. di pietà; provava per lui un s. di gratitudine (o di rancore, d’odio, d’invidia, d’avversione); celeste è questa Corrispondenza d’amorosi sensi, Celeste dote è degli umani (Foscolo). In frasi d’ossequio, spec. nella chiusa delle lettere, anche l’espressione del sentimento (sempre al plur.): gradisca i s. della mia devozione; con i s. della mia più profonda stima, ecc. In altri casi, al plur. (letter.), di sentimenti elevati: uomo, donna di alti s.; Spirerò nobil sensi a’ rozzi petti (T. Tasso); Liberi s. a rio servaggio in seno Lieve a trovar non è (Alfieri). c. La capacità di sentire, in quanto presuppone un discernimento tra il reale e l’irreale, tra il bene e il male, tra il bello e il brutto, tra il conveniente e lo sconveniente, ecc.: avere molto sviluppato il s. morale; essere privo di s. della giustizia; essere scarso di s. critico; essere assolutamente privo di s. umoristico, del s. del ridicolo; possedere, coltivare, offendere il s. del bello, il s. estetico; avere, non avere il s. della decenza, della misura, dell’equilibrio (spirituale); essere privo di s. pratico, della capacità di discernere l’opportunità nei fatti della vita pratica. Dottrina del s. morale, teoria filosofica svolta dai moralisti inglesi del Settecento, secondo cui la coscienza umana possiede una capacità innata, quasi istintiva e infallibile, di distinguere il bene dal male e di provare piacere per le azioni buone altrui e proprie, senza alcun riferimento a vantaggi ulteriori. d. Capacità discretiva e insieme intuizione indica anche nelle espressioni avere, perdere il s. dell’orientamento; significa invece capacità naturale d’intendere le cose, di apprezzarle nel loro giusto valore, di giudicare rettamente nelle due locuz. buon s. (v. buonsenso) e s. comune (v. la voce). 4. Il contenuto e il valore significativo di un elemento linguistico; è sostanzialmente sinon. di significato anche se alcune scuole linguistiche distinguono il senso, più generale e comprensivo e quindi più mutevole nei diversi contesti, dal significato, più specifico e costante, e altre scuole usano i due termini nel rapporto opposto. In partic.: a. Di singole parole o locuzioni: spiegare, intendere, discutere il s. d’un vocabolo; s. proprio, figurato, traslato, metaforico; in questo passo il termine è usato in s. estensivo; in s. ampio, nel pieno s. della parola; usare, interpretare una parola nel s. deteriore. b. Di frasi, costrutti, discorsi, il concetto in essi racchiuso, ciò che la frase o altro vuol significare in quel particolare contesto: maestro, il s. lor m’è duro (Dante, delle parole scritte sopra la porta dell’inferno); parole che hanno un s. riposto, recondito, profondo, piene d’un s. misterioso; il s. del verso è chiaro, oscuro, ambiguo; capire, intendere, afferrare, cogliere il s. della frase; interpretare in altro s., dare un altro s. alle parole di qualcuno; esporre, riassumere in breve il s. d’un discorso. Anche riferito a interi libri (soprattutto nell’esegesi della Bibbia): interpretare il testo biblico secondo i varî s., e, specificando, nel s. letterale, tipico, anagogico, allegorico, morale, ecc. (v. anche ermeneutica). c. Locuzioni: leggere a senso, facendo intendere, con le necessarie pause e col tono della voce, il senso di ciò che si legge; sapere, ripetere a senso qualcosa, conoscerne o ripeterne il contenuto con parole proprie, non testualmente e non a memoria; tradurre a senso, preoccupandosi di rendere il significato generale, anziché tradurre alla lettera parola per parola. Costruzione a senso (lat. constructio ad sensum), in sintassi, l’incongruenza grammaticale dell’accordo di un sostantivo singolare con un verbo plurale, o viceversa (questo tipo di sintagma, detto in greco κατὰ σύνεσιν o κατὰ σύνϑεσιν, è anche indicato con l’espressione sinesi del numero). Doppio senso, duplice interpretazione a cui una parola o una frase si presta, e la frase stessa che si presta a questa duplice interpretazione (spec. quando uno dei due significati abbia carattere malizioso o osceno): storiella a doppio s.; conversazione piena di doppî sensi. d. Contenuto logico, contenuto d’idee sostanzialmente valido (in questa accezione si usa solo al sing.): cerca di dire cose che abbiano senso (o che abbiano un s. comune, con lo stesso sign.); per lo più in frasi negative: parole, frasi, discorsi senza s., privi di s., vuoti di senso; non c’è senso in quello che dici. Con sign. più ampio, anche riferito ad azioni e comportamenti: ciò che fai non ha senso, non ha giustificazione, è illogico, inopportuno, inutile, assurdo; e similmente: un mio intervento ora non avrebbe senso; una protesta da parte vostra sarebbe senza senso. V. anche nonsenso. Riferito a grandi avvenimenti e processi, la percezione della loro importanza, della loro portata, o della loro particolare natura: avere, intendere il s. della storia, degli eventi (o di un evento); il s. della vanità della storia umana che l’aveva colto poco prima in cortile, lo riprese (I. Calvino). 5. Usi estens. e fig., che si sviluppano dalla prec. accezione: a. Ai sensi, a senso, conforme a, secondo quanto è disposto da, in frasi del linguaggio forense e burocr.: ai sensi dell’art. 97 della legge ...; a senso di legge, a senso o ai sensi del regolamento, ecc. b. In un certo s., sotto un certo aspetto, per qualche rispetto: in un certo s. hai ragione tu; questo è vero, ma soltanto in un certo senso. c. Equivale più o meno a modo in alcune frasi tipiche, come: gli puoi scrivere in questo s.; m’ha risposto in questo s.; soprattutto quando ci sia un’alternativa, una doppia possibilità: rispondere in s. affermativo, in s. negativo, affermativamente o negativamente; io consiglierei di fare in questo s. piuttosto che nell’altro; comunque vadano le cose, nell’un s. o nell’altro, per noi va sempre male; la questione si è risolta nel s. migliore, nel s. più favorevole, nel s. più vantaggioso per noi. 6. Orientazione, direzione secondo la quale si effettua un movimento; più precisam., in matematica, su una retta o un arco di curva AB, distinzione tra due modi di percorso, uno da A a B, l’altro da B ad A (sinon. di verso): io ero diretto nel s. opposto al suo; s. (o verso) di rotazione (s. orario, s. antiorario); s. positivo, s. negativo; s. di percorrenza di una curva; nel s. della lunghezza, della larghezza, della diagonale; lo esaminava attentamente girandolo e rigirandolo in tutti i sensi. In usi estens. o fig.: il s. del pelo, della stoffa (meglio il verso); andare nel s. del progresso. Nella circolazione stradale (per calco del fr. sens), il verso che può o non può essere seguito dai veicoli, nelle locuz. s. unico, dove i veicoli possono circolare soltanto in un verso e non nel verso opposto; s. vietato, nel quale i veicoli non possono immettersi; s. obbligatorio, quello indicato come il solo nel quale un veicolo possa proseguire la sua marcia, escludendo al suo conducente ogni altra possibilità di scelta (nelle segnalazioni stradali il s. vietato è indicato da un cartello circolare rosso, attraversato orizzontalmente da una striscia bianca; il s. obbligatorio è indicato da un cartello pure circolare di colore azzurro, con una freccia bianca rivolta verso l’alto, o a destra o a sinistra a seconda della direzione che si prescrive debba essere tenuta; si usano anche frecce a due direzioni, come pure cartelli rettangolari con freccia bianca in campo azzurro, sulla quale è la scritta indicativa).