violènza s. f. [dal lat. violentia, der. di violentus «violento»]. – 1. Con riferimento a persona, la caratteristica, il fatto di essere violento, soprattutto come tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale, facendo anche ricorso a mezzi di offesa, al fine di imporre la propria volontà e di costringere alla sottomissione, coartando la volontà altrui sia di azione sia di pensiero e di espressione, o anche soltanto come modo incontrollato di sfogare i proprî moti istintivi e passionali: un uomo rozzo e volgare, noto per la sua v., per la v. del suo carattere o temperamento; era incapace di dominare (o controllare, frenare) la v. della sua indole. Per estens., riferito ai sentimenti e alle loro manifestazioni, forza particolarmente intensa: reprimere la v. degli istinti, della passione; sfogare, contenere la v. dell’ira. 2. a. Ogni atto o comportamento che faccia uso della forza fisica (con o senza l’impiego di armi o di altri mezzi di offesa) per recare danno ad altri nella persona o nei suoi beni o diritti, quindi anche per imprese delittuose (uccisioni, ferimenti, sevizie, stupri, sequestri di persone, rapine): ottenere, carpire, costringere con la v.; ricorrere, o fare ricorso, alla v.; farsi consegnare il denaro con la v.; atto di violenza, come singola azione o comportamento (anche assol. violenza, che in questa accezione può avere il plur.: porre fine alle v. di un mafioso; essere sottoposto a continue v.); e come fatto e manifestazione collettiva, di gruppo: la v. della folla, delle masse; lo scatenarsi della v. popolare. In senso più ampio, l’abuso della forza (rappresentata anche da sole parole, o da sevizie morali, minacce, ricatti), come mezzo di costrizione, di oppressione, per obbligare cioè altri ad agire o a cedere contro la propria volontà: fare, usare v. a qualcuno; subire, patire v.; ribellarsi alla v.; fare (o usare) v. a una donna, a un ragazzo, abusarne sessualmente. Sotto l’aspetto più propriam. giuridico: v. fisica, quando si attua come costrizione materiale, facendo uso della forza; v. privata, reato che consiste nel costringere altri con violenza o minaccia a fare, tollerare o omettere qualche cosa, ledendo così la libertà individuale del soggetto e condizionandone l’attività; v. sessuale, delitto contro la libertà personale che consiste nel costringere con violenza o minaccia una persona a compiere o subire atti sessuali: introdotto nel sistema penale nel 1996 in sostituzione dei reati di violenza carnale. Dalla violenza fisica si distingue la v. morale, quella che viene subìta dal soggetto a causa del timore indotto in lui dall’azione esterna (o in genere, come sinon. di v. psichica, quella che si esercita sull’animo di una persona, mortificandone lo spirito, soggiogandone, annullandone o limitandone la volontà, plagiandola); nel diritto canonico si prevede inoltre una v. assoluta, che si ha quando la resistenza da parte di chi la patisce è totale (cfr. Dante, Par. IV: vïolenza è quando quel che pate Nïente conferisce a quel che sforza ... Voglia assoluta non consente al danno; Ma consentevi in tanto in quanto teme, Se si ritrae, cadere in più affanno). In usi fig.: fare dolce v., indurre altri a fare o ad accettare cosa in sé non sgradita, vincendone la resistenza con modi delicatamente insistenti e persuasivi; farsi violenza, imporsi, con uno sforzo di volontà, un comportamento attivo o, più spesso, passivo, contrario ai proprî impulsi o sentimenti (si fece v. per ascoltarlo pazientemente sino alla fine; mi sono fatto v. per non gridare, per non schiaffeggiarlo); fare v. a un testo, a un articolo di legge, e sim., interpretarli in un significato che in realtà non hanno, forzarne il senso. b. In sociologia, l’uso distorto o l’abuso della forza contro qualcosa che gode della protezione della legge e del controllo sociale in genere (quindi non soltanto persone, ma anche istituzioni, beni della collettività, ecc.); in senso più ampio, ogni forma di aggressione, di coercizione, di dominio, e anche, più astrattamente, di influenza, condizionamento e controllo delle attività pratiche e più ancora di quelle intellettuali dell’uomo, esercitata non tanto da singoli quanto dalle istituzioni che detengono il potere. Ne consegue un concetto della violenza come fatto sociale: assistere al diffondersi della v., degli episodî di v.; porre un argine al dilagare della v., all’escalation della v.; le radici della v.; la spiegazione, la giustificazione, o la condanna, l’esecrazione della v.; in partic., v. politica, quella che ha come motivazione o pretesto la contestazione e il rifiuto della legittimità di un sistema sociale, e può raggiungere i toni estremi del terrorismo; la teorizzazione della v. come lotta politica, la strategia della violenza. In contrapposizione,